Carnevale è alle porte

by Marina Caccialanza

Siamo un popolo che ama le consuetudini, riconosciamolo. Siamo creativi, innovatori e di mentalità aperta verso nuove tendenze e usanze di altri Paesi. Siamo accoglienti e tolleranti. Allo stesso tempo siamo noi che dettiamo le tendenze all’estero, in molti casi e in tutto il mondo.

Eppure in fondo non riusciamo a rinunciare alla nostra identità; non possiamo fare a meno di tutelare e ricordare il retaggio che ci accompagna da sempre. La cultura gastronomica è anche questo: saper mantenere vive quelle ricette che fanno parte del patrimonio storico di un popolo. E l’Italia ne è ricca e orgogliosa.

Ecco che accanto a costumi importati – per esempio Halloween – che si rifanno a una storia che non ci appartiene, e che hanno conquistato molti ma restano in fondo occasioni puramente commerciali, la cultura contadina del Paese riaffiora in occasioni come il Carnevale quando tra le feste in costume e i fasti tutti, ma proprio tutti, andiamo alla ricerca di quei sapori che ci ricordano l’infanzia e non sono la zucca o lo zenzero degli anglosassoni, sono la ricotta, la frittella, il miele e lo zucchero.

Abbiamo fatto un breve – certamente non esaustivo ma illuminante – passaggio lungo la penisola e abbiamo chiacchierato con tre pasticceri che ci hanno illustrato come si festeggia il Carnevale nella loro regione.

Roberto Cantolacqua ci ha riportano alla tradizione contadina delle Marche; Gino Fabbri ha ripercorso con noi l’opulenza di Bologna e, infine, Roberto Murgia ci ha fatto sognare tra la ricchezza e l’allegria dei dolci della Sardegna, terra dove Carnevale è festeggiato più di Natale, dove sopravvivono tradizioni antiche straordinarie.

Immergiamoci nei loro racconti, sono affascinanti. 

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scroccafusi e limoncini sono i dolci di carnevale tipici delle Marche

Roberto Cantolacqua Pasticcere a Tolentino (Mc)

“I dolci tipici marchigiani per carnevale sono essenzialmente due: gli scroccafusi e i limoncini.
Gli scroccafusi prendono il nome dal rumore che fa la pasta in frittura, assomiglia a quello del fuso del telaio quando sbatte. È un dolce di origine contadina, poverissimo. È composto di soli 3 ingredienti: uova, farina, un pizzico di sale e un liquore locale all’anice, il mistrà. Con questi ingredienti si forma un impasto morbido, come quello del babà, molle ma elastico con struttura a corda, dal quale si ricavano delle palline che si fanno lessare in acqua per 6/8 minuti. A quel punto si tagliano con un’incisione a croce e si friggono. L’incisione si apre a fiore e una volta fritti vengono cosparsi di zucchero, miele e alchermes. Facciamo anche una versione al forno, più leggera. In pratica è lo stesso impasto che a Pasqua usiamo per fare la ciambella. Gli anziani che hanno ricordo di questo dolce lo apprezzano molto, i giovani meno.
I limoncini, chiamati anche chiacchiere ma assai differenti dalle chiacchiere in uso in altre regioni, sono formati di un impasto lievitato povero di zucchero; l’impasto viene steso e ricoperto di zucchero aromatizzato con buccia d’arancia e limone, arrotolato e tagliato a fettine spesse 1 cm. Le fettine vengono fritte tradizionalmente nello strutto, anche se oggi si preferisce l’olio d’oliva.
È un dolce molto buono perché gli oli essenziali degli agrumi gli danno un aroma speciale e poi è soffice, molto piacevole. Nel periodo di carnevale sono i dolci più richiesti insieme alle frappe e alla cicerchiata, quello che a Napoli sono gli struffoli e - usanza curiosa importata evidentemente dalla Toscana - facciamo le pesche di Prato. I giovani prediligono i limoncini, le castagnole, le zeppole, ma gli anziani cercano ancora gli scroccafusi. Vale la pena mantenere le tradizioni. Da noi è usanza consumarli in abbinamento al vino cotto, un vino liquoroso ricavato dal mosto cotto messo in botte a maturare. Ha una gradazione intorno ai 14/16 gradi e si accosta molto bene al fritto”.  

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le sfrappole bolognesi

Gino Fabbri, La caramella a Bologna

“I dolci fritti di carnevale sono importantissimi in pasticceria perché sono una tipologia di dolce che nulla toglie al resto della produzione. Chi viene a comprare i fritti vuole proprio quelli, è tradizione e noi li facciamo dal 7 di gennaio fino al martedi grasso. I più graditi sono le sfrappole, quelle che in altre regioni si chiamano frappe o chiacchiere. Accanto alle sfrappole c’è tutta una varietà di bigné farciti con ricotta, crema, cioccolato o zabaione. Ma una specialità bolognese sono i tortelloni, che prendono il nome proprio da quelli che si mangiano a tavola ma sono fritti. Praticamente è la pasta della tagliatella ripiena di ricotta o di crema, ripiegata come i tortellini ma più grande e fritta il olio bollente. Poi c’è tutta la serie delle frittelle di riso, ciambelline, creme fritte. Le castagnole da noi sono meno richieste, abbiamo una tale varietà di dolci farciti che passano in seconda fila. Il bolognese ama l’opulenza. Però, il mercoledi dopo carnevale non ne facciamo più, rispettiamo i tempi, perché è giusto che rimanga un po’ la voglia, no?
Di sicuro è un segmento della pasticceria che vale la pena coltivare anche se molto impegnativo. Partiamo dal concetto che il fritto è una seccatura da fare, sia a casa sia in laboratorio, richiede molta lavorazione e anche se le materie prime sono piuttosto economiche diventa dispendioso in termini di tempo e impegno. Deve essere fatto bene, per essere leggero e salutare. Anche la lavorazione può essere particolarmente impegnativa, per esempio la pasta del tortellone viene passata e ripassata con lo zucchero e il burro fuso, come una pasta sfoglia, affinché risulti leggero e friabile in frittura. Abbiamo una friggitrice 40X60 che contiene 25 litri di olio e ogni giorno dobbiamo cambiare l’olio e pulire accuratamente la friggitrice. È importante per avere un buon fritto. Le cappe aspiranti sono costantemente in funzione per non intaccare il prodotto con residui e odori. Tutto questo giustifica il prezzo di vendita che si attesta intorno a 40 euro al kg per i prodotti comuni e può arrivare a 55/60 per le sfrappole. Però, le mie sfrappole sono talmente sottili e leggere che in 1 kg ci sono circa 150 pezzi”.  

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gli orilletas, specialità sarda

Roberto Murgia, Dolci in Corso ad Alghero

“In Sardegna a Carnevale la gente impazzisce. È una delle feste più sentite e abbiamo una varietà di dolci tradizionali enorme, diversa da città a città, da campagna a campagna. Facciamo dolci fritti sia lievitati sia a base pasta. La pasta fritta viene forgiata in modo diverso a seconda delle zone; la base è sempre semola di grano duro, uova e strutto. In Gallura si fanno le treccine, nel nuorese le spirali ecc. questa base poi può essere ripiena di mandorle come i colurgiones de mendula, oppure di ricotta e zafferano, di scorza d’arancio. Un tempo si usava molto fare un ripieno di sanguinaccio che oggi è in disuso. Sono tutti dolci molto elaborati, molto ricchi.
I lievitati sono tipologie molto antiche, per esempio le frisciolas o bryniols che si versano nell’olio bollente con uno speciale imbuto, a formare una spirale perfetta, sono fatti con semola latte scorza d’arancia e anice, qualche volta anche uova. I parafritos, che vuol dire frati fritti e prendono il nome dall’alone bianco che si forma in frittura, sono specie di ciambelle aromatizzate che contengono anche strutto; le tzipulas si fanno con all’interno dell’impasto la patata oppure la ricotta, dipende dalla zona. Poi ci sono quelli di pasta non lievitata come i meraviglias, simili alle frappe ma con un impasto a base di semola arricchito di Malvasia; gli orilletas, fritti a base di pasta di semola, uova e strutto, forgiati a fisarmonica o a ruota che una volta fritti vengono intrisi nel miele. Facciamo anche i fritti ripieni, sono come ravioli che possono essere ripieni di pasta di mandorle, oppure di crema Menjar blanc a base di latte, limone zucchero e amido, di aranzada (scorza d’arancia cotta nel miele), formaggi di pecora, verdure, ricotta, passati nel miele dopo fritti. L’elenco sarebbe lunghissimo, ogni zona della Sardegna ha la sua specialità e io ne faccio molte perché da noi son molto richieste. Si vendono anche molto bene perché la gente non rinuncia ai dolci di carnevale: si va dal tipico parafritos a 1 euro l’uno alle frisciolas a 15 euro al kg. Nel mio laboratorio friggo in grandi pentoloni profondi, generalmente con olio di girasole bifrazionato o altoleico, oppure con olio di arachidi che però utilizzo meno per i noti problemi di allergie. Il fritto deve risultare leggero e scelgo l’olio in base alla tipologia. Le paste lievitate devono friggere a 160 gradi ma le altre hanno bisogno di 180° e quindi ci vuole un olio più resistente con un punto di fusione più alto”. 


articolo pubblicato su Il Pasticcere n°8 2019