Dai mari del nord in tavola

by Marina Caccialanza

Secondo la Dieta Mediterranea, il pesce è un alimento importante, principale fonte di proteine animali e acidi grassi omega 3. Numerosi studi hanno evidenziato che le popolazioni con un alto consumo di pesce sono meno esposte ai rischi di malattie cardiovascolari e tumori. La maggior parte delle proprietà salutari del pesce sono attribuite agli omega 3 e i pesci grassi come il salmone, il merluzzo, sardine, alici, trote e tonno sembrano essere i più indicati ad aumentarne l’apporto.

Il merluzzo è un pesce che vive nell’Atlantico settentrionale, spesso confuso col nasello che invece vive nel Mediterraneo. Il suo utilizzo in cucina è vasto per l’ottima qualità della carne, inoltre si presta molto bene alla surgelazione e le sue uova, salate e affumicate, vengono commercializzate come sostituto del caviale.

La carne del merluzzo è gustosa e di buona consistenza, per questo si presta ottimamente a svariate preparazioni e compare nelle ricette tradizionali di tutte le regioni d’Italia e nel resto del mondo. Possiamo citare lo stocco all’anconetana, lo stoccafisso alla trentina, il fritto in pastella alla lombarda, il baccalà alla messinese: i siciliani, che hanno imparato ad apprezzarlo grazie ai Normanni, lo chiamano piscistoccu (stoccafisso).

Una delle prerogative più interessanti del merluzzo è la sua versatilità e adeguatezza ad essere conservato; prerogativa che è alla base della sua diffusione.

Infatti, dobbiamo pensare che se oggi abbiamo a disposizione strumenti di refrigerazione che consentono la conservazione del pesce, come di ogni altro alimento, un tempo non esistevano e il pesce, tra le materie prime più deperibili, non arrivava nelle zone territoriali interne. I pesci di laguna, come anguilla o carpa, erano trasportati vivi e pertanto il consumo dei pesci di acqua dolce poteva essere programmato; per i pesci di mare questo non avveniva e il suo consumo era puramente casuale e circoscritto. 

 

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Baccalà Gaspé alla Vicentina cotto in latte, cipolle e olio, polentina bianca allo zenzero. 
ricetta dello chef Andrea Provenzani del ristorante Il Liberty di Milano

Storia e diffusione

Il 18 dicembre 1497, Raimondo de Raimondi spedisce da Londra a Milano una lettera a Ludovico il Moro dove racconta che Giovanni Caboto e i suoi compagni inglesi sono soliti portare dall’Islanda lo stockfish (stoccafisso) scoperto tra i banchi di Terranova.

Intanto, i Baschi, pescatori di balene, si accorgono che la carne del merluzzo che pescano nei territori Vichinghi può essere conservata meglio di quella dei cetacei e poiché dispongono di una materia prima che al nord è pressoché inesistente, il sale, utilizzano la tecnica della salagione.

Lo sfruttamento del prodotto, diventa, in questo modo, diffusione anche nella versione sotto sale col nome di bacalao per opera, principalmente, degli Spagnoli e dei Portoghesi che lo introducono perfino nelle zone dell’entroterra come la Francia centrale e la Pianura Padana.

È il pesce salato, quello che riscuote maggior successo mentre lo stockfish rimane un prodotto norvegese per molto tempo ancora e distribuito soprattutto nel nord Europa.

In Italia, baccalà e stoccafisso, vengono diffusi soprattutto attraverso l’alimentazione collettiva (albergo dei poveri, opere pie, conventi) sostituendo alla fine del ‘500 il costoso pesce fresco obbligatorio nei giorni di magro.

Oggi, è importante, al momento dell’acquisto assicurarsi che il prodotto rispetti le direttive del Decreto Ministeriale datato 1997 che regolamenta e riserva la denominazione di “baccalà e stoccafisso” solo ai merluzzi delle specie Gadus morhua e Gadus macrocephalus (o merluzzo del Pacifico), commercializzati in forma salata (baccalà) o essiccata (stoccafisso). 

Conservabile e trasportabile: i suoi plus

La tecnica di conservazione del merluzzo mediante essiccazione all’aria e al vento è caratteristica dei mari del Nord, in particolare nelle isole Lofoten. Gli esemplari che arrivano alle isole tra gennaio e aprile vengono chiamati in norvegese skrei, un termine che si riferisce al moto compiuto dai pesci che si spostano in branchi. Il nome più comune di stoccafisso, invece, deriva dall’inglese stock fish cioè “pesce da stoccaggio”. Il pesce viene essiccato all’aperto, grazie all’azione del sole e del vento, su apposite rastrelliere; durante il periodo di essicazione si tiene sotto controllo costantemente la distanza tra un merluzzo e l’altro che deve essere tale da far circolare l’aria e impedire la formazione di macchie, muffa o residui di sangue.

Al momento dell’acquisto, lo stoccafisso presenta il corpo rigido, privo di testa, forma schiacciata e spessore sottile. Prima di essere utilizzato deve essere accuratamente reidratato con un lungo ammollo finché non triplica di volume. A questo punto la polpa è morbida ed elastica e dopo un’accurata pulizia che consiste nell’eliminazione di tutte le parti coriacee come le pinne, la lisca centrale e le spine si può procedere alla cottura. La pelle si rimuove a piacere.

In Veneto, dove il consumo di stoccafisso è molto diffuso nella cucina popolare, il merluzzo essiccato si chiama “baccalà”, il che crea qualche confusione. In effetti, il famoso “baccalà alla vicentina” è un piatto a base di stoccafisso.

Ma veniamo al baccalà. È merluzzo conservato sotto sale. Il termine deriva dallo spagnolo bacalao, derivato a sua volta dal fiammingo baccheliauw.

Il baccalà si presenta all’acquisto privo di testa e aperto a libro. Prima dell’utilizzo deve esser sottoposto a un lungo ammollo allo scopo di reidratarlo e dissalarlo. Anche per il baccalà, prima della cottura si deve eseguire una pulizia accurata. Generalmente si preferisce lasciare la pelle perché dà sapore e densità ai sughi. Infatti, la preparazione più comune è quella in umido che ammorbidisce e arricchisce i tessuti del pesce ma le ricette sono molte e diverse, dalla semplice lessatura alla cottura arrosto, dalla frittura alla cottura in olio a fuoco bassissimo.

Gli esemplari migliori di baccalà sono quelli di taglia media e colore bianco, mai giallastro. Per procedere all’ammollo bisogna immergere il baccalà in una bacinella di acqua fresca, spazzolare via il sale, sciacquarlo e tenerlo a bagno per almeno 48 ore cambiando l’acqua più volte, soprattutto nelle prime ore.

Un piatto tipico della cucina basca è il bacalao al pil pil, cotto in una salsa a base di olio e aglio sbattuta fino a diventare una specie di crema molto vellutata. In Portogallo è molto popolare il baccalà cotto con patate e cipolle. Da noi, si cucina col pomodoro e i peperoni in Campania, fritto in Lombardia, con un intingolo ricco di pomodoro, olive e uvetta nel Lazio, ma le versioni sono infinite. Pellegrino Artusi ne esalta il valore e lo consiglia nella versione “baccalà alla fiorentina”: tagliato a pezzi larghi, infarinato, rosolato con olio e aglio e cotto con pomodoro.