Dal Panettone al Pandoro il lievitato è trendy, tutto l’anno

by Marina Caccialanza


Nel 2017, secondo Coldiretti, 3 italiani su 4 hanno scelto panettoni artigianali made in Italy.

La produzione di lievitati rivela un trend in costante crescita grazie anche all’impegno dei nostri artigiani e della maggiore sensibilità dei consumatori

È un comparto che riscuote sempre maggiori consensi da parte del pubblico e che trova mercato fiorente sia nel nostro Paese sia all’estero. I grandi lievitati, un tempo relegati nei periodi di ricorrenza natalizia e oggi quasi completamente sdoganati, interpretati, rielaborati e studiati come fenomeno e prodotto, rappresentano uno dei vanti della produzione dolciaria italiana. Primo tra tutti il Panettone che ha assunto un’immagine moderna, dinamica e versatile tanto da essere considerato uno dei principali simboli della pasticceria all’italiana, degno di riproduzione e imitazione oltreoceano e ovunque.

Numerose le versioni interessanti che, dal dolce al salato, rendono merito a questo straordinario prodotto. E poiché il patrimonio dolciario nostrano è ricchissimo di esempi ed esemplari di notevole pregio, accanto ad esso vale la pena ricordare il suo alter ego: il Pandoro, straordinario, ricco e pregiato dolce della tradizione natalizia, spesso dimenticato, talvolta sottovalutato, certamente da valorizzare.

Giancarlo Perbellini

“Il motivo per il quale il Pandoro non ha ricevuto finora l’attenzione, né riscosso il successo del Panettone è essenzialmente uno: è un prodotto difficile. Del resto il nome stesso ne suggerisce la straordinarietà – pan d’oro – e rivela come sia un cibo eccezionale, non per tutti. Possiamo facilmente notare questa sua rarità: il Panettone oggi viene prodotto ovunque e da chiunque, il Pandoro non lo fa quasi nessuno; se il primo viene prodotto da quasi tutte le pasticcerie o panifici d’Italia, solo l’1% delle pasticcerie sceglie di produrre il pandoro. Il Pandoro è un prodotto monogusto, il panettone è declinato in infinite varianti di gusto. Il motivo è semplice: il Pandoro ha un carico di grassi, ossia di burro, talmente importante che pochi sono in grado trattare ad altissimo livello. Il Panettone è più magro e più facilmente gestibile in fase di lavorazione, mentre il Pandoro, a causa del suo alto contenuto di burro, è già un prodotto ricco di suo e non ha bisogno, né si presta, a ulteriori arricchimenti o farciture, comuni e attuabili nella ricettazione del Panettone con una buona preparazione e creatività da parte del pasticcere. Gestire in fase di lavorazione una farcitura per il Pandoro sarebbe molto difficile per un artigiano, perché l’impasto non reggerebbe gli ingredienti e la lievitazione ne risentirebbe. Questa è un’operazione che può fare l’industria che dispone di metodi di lavorazione diversi da quelli artigianali. Inoltre, la conservabilità limitata del prodotto artigianale sconsiglia questa pratica. Mio padre, grande esperto di quest’arte, mi ha sempre detto che al Pandoro non si deve aggiungere nulla, è buono così com’è nella versione originale. Ed è vero, la qualità – delle materie prime, degli ingredienti e della lavorazione – è l’unico elemento in grado di valorizzarlo e che può determinarne la riuscita e il successo. Solo così, da solo, magari riscaldato 3 o 4 ore sul termosifone prima di servirlo affinché i grassi sprigionino tutti i loro aromi, il Pandoro dà il meglio di sé.

Esiste, a mio parere, una sola condizione che giustifica l’elaborazione del Pandoro in quanto dolce servito a tavola: la presentazione in abbinamento a creme, zabaioni o simili, in un dessert al piatto servito al ristorante. In questo caso, però, da protagonista diventa uno degli elementi di un piatto appositamente creato da un cuoco.

Anche la stagionalità è limitata al periodo freddo; con le alte temperature il suo contenuto di grassi ne sconsiglia il consumo, non lo invita nemmeno, e anche in lavorazione presenterebbe criticità importanti per l’artigiano che volesse cimentarsi in una produzione estiva. Insomma, il burro, ingrediente principale e fondamentale per la determinazione del sapore, della morbidezza e degli aromi che ne sprigionano, è anche quello che limita la sua diffusione o almeno la circoscrive; è molto importante quindi utilizzare un burro di altissima qualità – l’ideale sarebbe burro non pastorizzato ma non è consentito - allo stesso modo è importante la scelta della vaniglia. È possibile lavorare sulla composizione della struttura, per esempio nel mio laboratorio di Verona mantengo gli zuccheri al minimo per poterlo abbinare in servizio con elementi salati, ma sempre nell’ottica di impiegarlo in un contesto di ristorazione dove è più facile combinare un piatto equilibrato.

Il Pandoro è il dolce perfetto, così deve rimanere, la differenza la fanno l’esperienza e la capacità del pasticcere di lavorare gli ingredienti”.

Claudio Gatti

“La passione per la ricerca che da anni contraddistingue lo stile della mia pasticceria nasce innanzi tutto dall’osservazione della clientela: la gente è attenta, vuole sapere cosa mangia, s’interessa e cerca nuovi gusti e nuove abitudini alimentari. Come artigiano, ho il compito di soddisfare questo loro desiderio che riflette la tendenza in atto nel mondo della pasticceria come della cucina e gastronomia in generale: alimenti con meno zuccheri, meno grassi, farine di qualità e ingredienti sani. Siamo pasticceri e non abbiamo la presunzione di produrre alimenti che fanno bene alla salute ma possiamo produrre alimenti sani, ossia non dannosi per la salute. Leggerezza, buona digestione e un apporto contenuto di grassi e zuccheri sono importanti affinché il dolce che vendiamo sia buono e sano. Quest’anno propongo la Focaccia di Parma: un panettone tradizionale in cui la ricetta classica emerge nella sua naturalità, nel suo gusto pulito senza aromi aggiunti. Desidero che i sapori e gli aromi naturalmente sprigionati dalle materie prime impiegate siano i veri protagonisti del dolce, come l’arancia al naturale per esempio. La gente non è in grado di distinguere tra gruppi aromatici creati appositamente, aromi naturali o essenze e per questo voglio ricreare per loro il sapore e l’aroma dell’antichità, quello che deriva esclusivamente dalla qualità delle materie prime e dalla lavorazione. È la semplicità al quadrato, il cuore della tradizione. Lo so che pochi saranno in grado di apprezzare ma credo sia importante provarci. Secondo lo stesso principio per Natale produrrò in edizione limitata una Focaccia con farina di canapa. L’importanza dei semi di canapa e dei prodotti da essa derivati sta nel loro contenuto e nelle proprietà benefiche associate. I semi di canapa contengono, infatti, tutti gli 8 amminoacidi essenziali ovvero gli unici amminoacidi che il nostro organismo non è in grado di sintetizzare o li sintetizza in quantità non sufficienti. In 100 grammi di semi di canapa per esempio si trovano circa 70 milligrammi di calcio. L’olio di canapa è ricco di Omega3, Omega6 e fitosteroli e in pasticceria può essere un ottimo sostituto dell’olio extravergine perché ha un retrogusto di nocciole (importante per dare un sapore particolare ai dolci) ma soprattutto perché presenta meno chilocalorie. Nell’ambito dei lievitati, la farina di canapa potrebbe giocare un ruolo molto importante, infatti è ricca di fibre e meno calorica rispetto alla farina di frumento 00. Per di più è priva di glutine (quindi è più digeribile) e associata ad altre farine come quella di mais o di riso può essere utilizzata per ottenere prodotti per celiaci.

I prodotti a base di semi di canapa quindi possono non solo portare innovazione ma grazie alle loro proprietà, un ulteriore benessere all’organismo riducendo l’apporto calorico e rafforzando il sistema immunitario, ormonale e nervoso. Ci sto lavorando, è la mia nuova sfida. L’orientamento insomma è verso la qualità assoluta e il futuro della pasticceria sarà il senza zucchero, senza sale e senza grassi. Si può fare e lo dobbiamo fare”.

Attilio Servi

“Il Panettone tutto l’anno è una buona idea, certamente, ma in pratica fa numeri bassi. È sempre un dolce della tradizione legato all’immagine della ricorrenza. La sua collocazione temporale è il suo limite e non è superabile. Io ho voluto uscire da questo schema e raccontare una storia diversa, quella di un prodotto libero dal periodo temporale e riconducibile, invece, alla tradizione gastronomica italiana nella sua completezza. Il panettone, in quanto dolce, è l’epilogo di un pasto; il panettone salato non è più un dolce ma un prodotto fruibile all’inizio del pasto, durante il pasto o addirittura al di fuori del pasto come appetizer. Ho creato in questo modo un’occasione di consumo diversa dal dolce. Ho iniziato 5 anni fa e oggi il 50% della mia produzione di lievitati riguarda i panettoni salati. Il mio nuovo catalogo è disponibile presso gastronomie, enoteche, negozi specializzati tutto l’anno, in tutta Italia. Racconta la tradizione italiana e i suoi straordinari prodotti, le ricette tipiche e i grandi formaggi che incontrano il favore e il gusto degli italiani. La mia Focaccia Trionfo d’Italia ha vinto il primo premio come Miglior Panettone Salato in occasione della manifestazione Una Mole di Panettoni del Dicembre 2017; i suoi ingredienti caratteristici sono il Pomodoro Pera d’Abruzzo, il Pecorino DOP e l’origano di Pantelleria. Quest’anno ho proposto la Focaccia all’Nduja Calabrese, dove l’ingrediente caratterizzante è il tipico insaccato calabrese, la ‘Nduja, prodotto da Luigi Caccamo di Spilinga, riconosciuto come miglior artigiano dal Gambero Rosso. È la quinta Focaccia Salata della Linea e l’ho presentata in occasione del recente Cibus di Parma.

Naturalmente l’assenza di zuccheri esige un bilanciamento perfetto della ricetta, l’uso di grassi diversi in aggiunta al burro ci obbliga a fare i conti con la struttura dell’impasto. Bisogna saper conciliare le esigenze della lievitazione con il gusto perché il prodotto deve essere buono, lo dobbiamo vendere e se non incontra il gusto del pubblico è sprecato. Credo sia un’ottima soluzione alternativa al dolce, ormai scontato e abusato. Per l’anno prossimo penso di continuare il giro d’Italia e sto studiando la Focaccia Tirolese, con speck e asiago. E inoltre uscirò con un formato dedicato alla ristorazione, cilindrico e non tondo, per favorire una lavorazione senza sprechi in preparazione ai piatti”.

Luca Montersino

“Anche il mondo dei lievitati può essere orientato verso un tipo di pasticceria salutistica quando entriamo nel campo delle intolleranze. Personalmente mi piace molto giocare col ‘senza glutine’ perché il glutine nella lavorazione dei lievitati, soprattutto quando parliamo di grandi lievitati, è tutto. La sfida è produrre un lievitato senza glutine, quindi sano per chi è intollerante, che sia anche buono e possa gratificare chi lo consuma senza fargli sentire che si sta privando del dolce, senza rinunce. In tutti questi anni ho lavorato molto in questa direzione e sono riuscito a realizzare buone ricette adatte a chi ha problemi di intolleranza, senza lattosio o senza uova per esempio, ma soprattutto ho fornito prodotti di tutto rispetto senza glutine. Preparo ottimi dolci senza lattosio – utilizzando il Risolì per esempio – oppure senza uova con un nuovo preparato che lo sostituisce e che sto mettendo a punto per dolci vegani; per il senza glutine occorre lavorare molto sulle miscele che sostituiscono la farina perché non basta sostituire la farina di grano con farina di mais o di riso o di grano saraceno: la maglia glutinica non si formerebbe e tutto l’impasto crollerebbe. Occorre miscelare le farine con delle proteine, con addensanti come la xantana o il guar, lavorare coi legumi come il lupino, creare insomma una miscela che possa offrire le caratteristiche tecniche indispensabili alla formazione della maglia glutinica, una ricetta personalizzata e finalizzata. Inoltre, non dimentichiamoci che è molto importante saper portare a termine questo lavoro realizzando un prodotto buono. La clientela in questo settore può essere molto varia ma se riesco a fare un dolce senza glutine buono e gustoso, nulla impedisce che chiunque lo possa apprezzare e acquistare. La sfida è proprio questa, un dolce salutistico che non sia solo un obbligo per coloro che soffrono di qualche patologia ma che sia gustoso e gradevole per tutti. In questo modo, il mercato stesso si amplia e non si parlerà più di ‘pasticceria salutistica’ ma di pasticceria buona per tutti”.

Articolo pubblicato su Il Pasticcere – Italian Gourmet, settembre 2018