Al Peršéf, dalla montagna e più in là

by Marina Caccialanza


Attilio Galli ha 31 anni; voleva fare il calciatore ma ha scelto di diventare cuoco, per passione e per opportunità.

Attilio Galli ha una visione: creare un’osmosi perfetta tra i suoi ricordi d’infanzia, i sapori e gli aromi delle sue montagne (le vette che circondano Livigno) e l’umami travolgente della cucina asiatica, i suoi sentori e il gusto, la tecnica impeccabile e meticolosa che li riproduce.

Attilio Galli è ambizioso e, forse, c’è riuscito. Perché il suo romanticismo si nutre di nostalgia e si esprime con la generosità e l’apertura al mondo; non ci sono più confini, non ci sono schemi, c’è soltanto l’esperienza dei sensi e un caldo abbraccio.

Per comprendere la voglia di emergere di Attilio Galli occorre fare un passo indietro e osservare il contesto dal quale proviene e che oggi lo ospita. Livigno è nel punto più alto della Valtellina, a pochi passi dalla Svizzera, avvolta in una cornice paesaggistica unica; paradiso degli sciatori, è diventata famosa anche per essere località duty free e la sua offerta turistica è completa, in estate e in inverno, con strutture alberghiere di primo livello e l’accoglienza cordiale dei suoi abitanti.

Se un difetto si vuole trovare, è la distanza, astratta e reale, dal resto del mondo che talvolta si rende necessaria per le condizioni climatiche, per le vie d’accesso non sempre facili. A Livigno non ci arrivi per caso, devi venire perché è un luogo incantevole e ospitale e, soprattutto, se sei appassionato di sport invernali o passeggiate alpine.

Al Peršéf è il ristorante gourmet dell’Hotel Sporting di Livigno e Attilio Galli ne è l’executive chef.  

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È dall’alto di queste vette innevate che Attilio Galli ha gettato il suo sguardo sul resto del mondo e ha deciso di spiccare il volo. E con la tenacia di un vero montanaro in scalata, lo fa da solo, ha messo nello zaino la sua volontà, il suo talento, e un’esperienza costruita pietra su pietra. Egli sa quello che vuole e lo vuole fare a modo suo.

“La mia formazione è in massima parte autodidatta – racconta chef Attilio – ho fatto l’alberghiero ma all’epoca, per me, era solo la scuola che mi permetteva di inseguire il sogno di fare il calciatore. Poi, in seguito a un infortunio, ho dovuto fare una scelta e mi sono accorto che fare il cuoco non era poi così male perché mi permetteva di inseguire un altro sogno: rivivere i ricordi dell’infanzia con i suoi profumi e sapori e trasformarli in qualcosa di universale, alla scoperta del resto del mondo”.

È con questa voglia di scoprire il mondo e i suoi segreti che Attilio parte per la Sardegna perché “volevo studiare tutto sul pesce”, fa una tappa a Milano “per provare com’è”, poi torna a Livigno e prende in gestione un locale dove “ho imparato a gestire gli ordini e il food cost”. Il locale è una hamburgeria e Attilio si dedica ad apprendere i fondamenti della lievitazione. Ormai la cucina è diventata la sua passione; Attilio cucina e studia, cucina e legge, cucina e sperimenta, crea il suo stile. Da solo, come è nella sua indole.

“Non mi sono ispirato a nessun cuoco famoso in particolare - afferma Attilio Galli – perché volevo mettermi alla prova, capire cosa potevo fare con le mie forze, con la mia testa, senza essere influenzato dalle idee di altri”. 

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Progettare e sperimentare sono gli elementi portanti della cucina di Attilio Galli che, oggi, porta la sua visione tra i tavoli di Al Peršéf, in un’ala dell’Hotel Sporting Family Hospitality, elegante struttura a quattro stelle in legno e vetro; il locale dispone solamente di sette tavoli e di poco più di 20 coperti ma sono sufficienti per dimostrare i sapori inattesi e gli abbinamenti non convenzionali della sua cucina.

Racconta Attilio: “All’inizio cercavo di sperimentare materie prime da tutto il mondo ma, con un po’ di autocritica, mi sono reso conto che utilizzare anche le materie prime locali, come il pesce di lago o il cervo, poteva essere la cosa giusta, un concetto più semplice da raccontare perché conosciuto”.

È dunque la contaminazione e l’apertura totale il segreto di una cucina non tradizionale ma che alla tradizione si ispira. Il tocco orientale – l’umami - sui piatti è l’espressione di questa ricerca, ne è il valore.

“Amo l’oriente e i suoi sentori – spiega Attilio – e in fondo l’oriente non è così lontano: il wasabi non è tanto diverso dal rafano ma si abbina idealmente e incontra le materie prime nostrane dando loro un tocco di unicità. Un esempio è il maialino da latte, sansho, umami, cavolo nero e fieno tostato. Potrebbe sembrare una forzatura ma non lo è; è un modo per armonizzare: il maialino è nostrano, anche il fieno con cui è aromatizzato lo è, e così il cavolo nero, ma la combinazione degli elementi crea l’umami e l’atmosfera, diventa un piatto esotico nella tecnica di lavorazione e nell’espressione”.

Così ritroviamo il territorio nello spaghettino “Cavalieri” con missoltini e bottarghe di lago: qui è lo yuzu a fare da trait-d’-union.

Un altro piatto esemplare è il lucio perca con aglio orsino, plancton e beurre blanc: la base acida funziona e valorizza il grasso del pesce attenuandone l’intensità, ma quello che più sorprende è l’abilità con cui Attilio Galli domina la tecnica e la lisca del pesce, essiccata, diventa farina con cui creare una cialda farcita con un’emulsione di pancia del pesce: è la filosofia del recupero che diventa sostenibilità e totale no spreco.

La tecnica raffinata è elemento dominante e imprescindibile, spiega Galli: “Tutte le lavorazioni vengono fatte da noi in cucina. Le materie prime arrivano intatte – i capretti, i pesci, le mezzene di carni – e vengono sezionate e lavorate interamente dalla brigata, utilizzando tutte le parti. Un lavoro importante ma essenziale per rispettare un progetto che tende a valorizzare ogni potenzialità”.


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Talento, proposta, metodo. Soprattutto una ricerca assidua, meticolosa, certamente ambiziosa. La gioventù di Attilio Galli e dei suoi ragazzi di brigata non è un difetto ma una forza; l’esperienza da autodidatta non è un limite ma un incentivo a migliorare. L’impetuosità non manca di riflessione e se è vero che gli estremi si attirano, nella cucina di Al Peršéf troviamo l’equilibrio di una mente che sogna ma resta concreta.

La montagna rimane sullo sfondo, i piatti della cucina tradizionale – spesso trascurati e sottovalutati - non si dimenticano, restano alla base di uno studio che però vuole spaziare oltre le convenzioni per far emergere ancora di più il territorio.

È un lungo lavoro di ricerca ma merita incoraggiamento; è un azzardo perché il contesto è vario e la proposta deve saper rispettare una cultura culinaria ancorata al passato e non sempre aperta alle novità; deve incontrare il favore di un mercato internazionale e multietnico.

Attilio Galli ha varcato un confine, l’ha fatto con temerarietà ma anche con rispetto. Il percorso è tracciato, non resta che tenere il passo e fare attenzione alle valanghe! Da buon montanaro ce la farà.


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