Alla fiera dell’est, per due soldi…

by Marina Caccialanza


Nei prossimi due mesi ho già contato 1 Oktoberfest con degustazione di birra bavarese a Sesto San Giovanni (MI) e 1 Oktoberfest a Genova (un pesciolino no?); 1 Lombardia Beer Fest a Milano; sempre a Milano il Cacio e Pepe Festival; la sagra del Gorgonzola (e qui almeno siamo in zona); non si contano le notti rosa, bianche e di ogni colore. In Piemonte si celebra il peperone; in montagna è il momento d’oro della patata e le sagre dedicate al popolare tubero si alternano a vendemmia o raccolta delle mele con conseguente merenda picnic; poi sarà la volta del tartufo eccetera, eccetera.

Questo solo nel nord Italia, ma lo stivale è lungo.

Insomma, un tripudio di sagre e feste paesane, in campagna ed in città…e quello che ieri era considerato un appuntamento un po’ rustico per contadini, pescatori o montanari che in tal modo festeggiavano i risultati delle loro fatiche oggi diventa occasione imperdibile per turisti un po’ snob alla ricerca di una genuinità vera o costruita in grado di tranquillizzare le coscienze perché, si sa, oggi se non sei ecologista e promotore di vita sana ed ecosostenibile non sei nessuno.

Dunque, viva la campagna! Anche in città, non importa, e anche se l’aderenza alla realtà pare improbabile, paradossale, decisamente forzata. Il business delle sagre è esploso in tutto il Paese e pare una deriva inarrestabile quanto eccessiva.

Fipe – Federazione Italiana Pubblici Esercizi – denuncia che su 42.000 sagre che si svolgono ogni anno nel nostro Paese, sono circa 32.000 le manifestazioni prive di requisiti di autenticità che non promuovono prodotti tipici e non hanno legami con il territorio di riferimento: la sagra del pesce di mare in alta montagna, la sagra dell’arrosticino abruzzese nel varesotto, della birra abbiamo già detto, e così via.

Niente di male in fondo, basta incassare e lasciare che la gente si diverta.

Ci sono aspetti, però, che trovo piuttosto sgradevoli in questo tourbillon di grigliate, brindisi e abbuffate.

Intanto, quest’anno c’è il fattore “plastica”. Alcune sagre hanno annunciato di svolgersi all’insegna del “plastic free”. Bene, non vogliamo essere bacchettati; caspita, comportiamoci come si deve!

Le soluzioni sono state diverse: la prima e più semplice, infischiarsene bellamente e servire cibi e bevande nei soliti contenitori usa e getta sperando che le persone li smaltiscano negli appositi bidoni e non nell’indifferenziata; la seconda servire cibi e bevande in contenitori di plastica ma riutilizzabili, lavandoli di volta in volta, sperando che nella baraonda inevitabile gli addetti al lavaggio usino acqua corrente e sapone invece di metodi alternativi come passarli con la carta o sciacquarli velocemente in un catino senza ricambio del liquido. L’igiene qui pare incerta ma siamo in campagna, via. Le alternative sono i panini, le bibite in bottiglia di vetro, i cartocci di carta…o piatti e bicchieri compostabili ma, ahimè, costosi; sembra facile.

Lo scenario analizzato da Fipe ci dice che ogni anno nel nostro Paese si svolgono in media 5 sagre per ogni comune, con una durata media di 7 giorni, ed un fatturato notevole che arriva a 900 milioni di euro.

Sempre la FIPE, custode attenta delle abitudini degli italiani, ha calcolato che questi eventi – quando sono abusivi e purtroppo molti lo sono - generano un volume d’affari sul quale per buona parte non ci sono imposte e contributi, con grave danno, non solo per l’erario, ma anche per tutti quei pubblici esercizi che devono rispettare leggi molto stringenti. Aggiungerei, anche per i cittadini italiani che spesso girando tra stand e truck, tavolate o barbecue, spendono cifre considerevoli per “gustare” piatti (speriamo) genuini e casalinghi ma spesso in condizioni malagevoli e precarie, preparati da volontari affaticati e cuochi improvvisati solo per il gusto della festa e dell’allegria quando a parità di spesa potrebbero farlo comodamente seduti al tavolo di un locale “ufficiale”.

In conclusione, feste e sagre sono belle occasioni di convivialità e gioia, di diffusione della cultura di un luogo e delle sue tipicità, portano vantaggio economico e visibilità a realtà altrimenti dimenticate, ma devono essere coerenti col territorio, organizzate secondo normative e regolamenti precisi e, soprattutto, dimostrare quella sincerità di intenti che gli italiani meritano di ricevere, sempre pronti come sono a donare generosamente il proprio denaro e tempo, e entusiasmo, e fatica.

Anche questa è genuinità.