Alto Adige, tempo di vendemmia
È iniziata ai primi di settembre con la raccolta di alcune piccole particelle particolarmente precoci nella maturazione, la vendemmia 2020 dell’Alto Adige. Annata promettente, la 2020, dopo un inverno e una primavera dall’andamento altalenante, con un febbraio eccezionalmente asciutto e un marzo piovoso e freddo. I continui controlli e le misure mirate adottate in vigneto garantiscono l’elevata qualità, caratteristica tipica dei vini altoatesini e ne definiscono il conseguente posizionamento.
L’occasione suggerisce riflessioni interessanti, come l’eterna diatriba tra l’opportunità di impiegare tappi di sughero o a vite nell’imbottigliamento di vini di qualità.
A questo proposito un webinar svoltosi recentemente ha fatto chiarezza sul tema.
Terra di vini, l’Alto Adige può contare
sull’esperienza dei suoi vignaioli che nasce dalla passione per il paesaggio,
dall’attenzione per la natura e per la sostenibilità legate alla voglia
continua di rinnovamento.
Nasce proprio dall’analisi dell’attualità e delle sue esigenze una costante
riflessione sui metodi di produzione e sul loro impatto sulla qualità dei vini
e le conseguenti opportunità di mercato.
La potenzialità delle
diverse chiusure per le bottiglie di vino è uno degli argomenti che oggi più
frequentemente si affrontano quando si riflette sulle diverse potenzialità
della produzione che non si limita alla realizzazione di un ottimo vino ma deve
comprendere ogni sistema adatto a conservarlo alle migliori condizioni.
Il Consorzio Vini dell’Alto Adige ha
pertanto affrontato l’argomento con l’aiuto di alcuni rappresentanti del Consorzio coadiuvati da Eros Teboni, miglior sommelier del
mondo WSA nel 2018, che hanno esposto le loro ragioni che cerchiamo qui di
riassumere.
L’Alto Adige, con i suoi 5.500
ettari di vigneti e 200 cantine che producono ogni anno lo 0,7% della
produzione vinicola nazionale, è zona vocata e con oltre 20 vitigni è
fortemente impegnato nello studio e nel progresso della produzione per
mantenere alto lo standard qualitativo. Anche l’analisi delle chiusure rientra
dunque a pieno titolo in questo costante aggiornamento.
Il primo metodo analizzato è stato il tappo
a sughero, classico e tradizionale: è il metodo di imbottigliamento più utilizzato al mondo, per il 60% circa
dei vini. Le sue caratteristiche – leggerezza, impermeabilità all’acqua che
consente al tappo di non deteriorarsi in ambienti umidi, resistenza alle
temperature esterne, potere di isolamento termico, elasticità e morbidezza,
grande aderenza - sono ben note. I suoi maggiori pregi sono certamente la
caratteristica del materiale che essendo naturalmente poroso permette il
passaggio dell’ossigeno e dunque comporta una lenta ma progressiva
evoluzione del vino, l’invecchiamento; inoltre, è un materiale a basso impatto
ambientale poiché 100% riciclabile e sostenibile. La criticità del tappo di
sughero risiede nel fatto che pur
essendo naturale, determina troppe
variabili non controllabili per chi desidera la garanzia di
stabilità e corretta conservazione del vino nel tempo rispetto alle condizioni
iniziali. In media quasi il 10% della produzione vinicola viene persa a causa
dei difetti dovuti al tappo.
Il tappo a vite, sistema di chiusura
ampiamente utilizzato all’estero, meno in Italia per motivi essenzialmente culturali, è in grado di sigillare la
bottiglia e mantenere isolato il vino dall’ambiente esterno grazie al ridotto
passaggio di ossigeno: non consente alcuna ossidazione del vino e permette di
ridurre in tal modo la quantità di anidride solforosa. Il tappo a vite non teme
l’umidità, riduce i problemi dovuti alla contrazione o dilatazione del
materiale sia esso sughero, silicone o altri polimeri vegetali.
Una delle obiezioni più frequenti per l’impiego del tappo a vite è certamente
culturale e consiste nell’immagine che si crea al momento dell’apertura: certo,
manca il rito e manca il romanticismo, non è possibile manifestare
quell’abilità del sommelier che affascina nella valutazione olfattiva della
conservazione del vino. Aprire una bottiglia con tappo a vite non ha nulla di
scenografico. Ma, è così importante?
Piuttosto altre criticità di origine tecnica sono da individuare, come nei
problemi di riduzione che si verificano in seguito a lunghe conservazioni in
assenza di ossigeno, per esempio vini che evolvono solo parzialmente emanando solo
una parte dei loro profumi; inoltre si rivela meno indicato per vini ricchi di
tannini che per raggiungere la maturità
necessitano di micro-ossigenazione.
A livello di consumatore medio, i vini tappati a vite vengono percepiti –
certamente a torto - come di minor qualità.
Quest’ultimo fattore infatti influenza fortemente la diffusione dei vini
tappati a vite anche tra gli operatori del settore. La maggior parte dei
ristoratori non ne conosce in pieno le potenzialità e non è in grado di
spiegarle alla sua clientela: per evitare contestazioni preferisce affidarsi a
vini tradizionalmente sigillati con tappo a sughero, per motivi di immagine.
Questo contrasto tra valore effettivo e valore percepito continua a favorire
l’utilizzo di sughero anche se sono ormai evidenti le sue criticità tra le
quali non si deve sottovalutare il costo elevato e la difficile reperibilità
della materia prima.
All’analisi condotta
da Eros Teboni per il Consorzio Vini dell’Alto Adige hanno preso parte 6
produttori con 6 vini di differenti tipologie e metodi di chiusura:
Cantina Kaltern – Pinot Bianco Quintessenz 2018 – tappo sughero
Cantina Valle Isarco – Valle Isarco Kerner Aristos 2018 – tappo sughero
Cantina Bolzano – Lagrein Riserva Taber 2015 – tappo sughero
Falkenstein – val Venosta Riesling 2017 – tappo vite
Tiefenbrunner – Sauvignon Blanc Turmhof 2017 – tappo vite
Franz Haas – Pinot nero 2017 – tappo vite
credit ph Florian Andergassen