And the winner is …

by Marina Caccialanza


Dall’alto della guglia, la Madonnina ci guarda e pensa:

“La facciamo una nuova versione del Babà? Oppure potremmo pensare a un Buccellato rivisitato in chiave moderna… quanti dolci esistono nella tradizione italiana regionale?
Basta col Panettone!”

Allora, finite le feste, riprendiamo in mano la situazione e facciamo un bilancio.

Il primo pensiero è: per un po’, almeno, basta parlare di panettone!

Fiumi di parole, torrenti di frasi, un diluvio di notizie, foto e dichiarazioni, informazioni e, soprattutto, di concorsi “il miglior panettone di…”.

Abbiamo un tantino esagerato.

Non ho contato le classifiche, impossibile farlo, ma ogni giorno per almeno due mesi sono comparse graduatorie stilate non si sa bene da chi e a che titolo per decretare il miglior panettone d’Italia, di una regione, città, quartiere o condominio. Una moltitudine di mani alzate ad affermare la propria superiorità.

Non parliamo poi delle ricette creative/alternative comparse all’orizzonte: ma si può chiamarlo ancora panettone?

Proprio su questo vorrei fondare la mia riflessione – credo che molti di noi l’abbiano fatta dal profondo del loro cuore, milanesi o meno – e cioè sull’opportunità di classificare lievitati diversi tra loro con la stessa denominazione: panettone.

Chapeau a chi ha ideato questa immensa operazione di marketing; perché di questo si tratta, in nome del business: prendere un prodotto territoriale, snobbato dai più, poco apprezzato (non mi piacciono le uvette, puah i canditi…), bistrattato dall’industria in molti casi e svenduto, e trasformarlo, grazie alle potenzialità che nasconde, in un alimento ambito, agognato, interpretato, trasformato e venduto in tutto il mondo.

Perché diciamolo, il panettone quello vero non è che piaccia così tanto; però offre caratteristiche interessanti come la conservabilità, la trasportabilità, la possibilità di produrlo in diverse pezzature, la versatilità di consumo, e di questo parleremo poi.

Vorrei suggerire anche un’altra motivazione che sono sicura riscuoterà molte critiche: soffiarlo a quegli antipatici sbruffoni dei milanesi è una bella soddisfazione. Confessatelo! Fino a qualche anno fa oltre ad affibbiarci il nomignolo di “polentoni” ci prendevate un po’ in giro per il “panetùn”.

impastojpg
lievitazione lunga e poi, in forno

Ne ho assaggiati tantissimi, gustati molti, veramente apprezzati alcuni.

E non solo panettoni tradizionali; ho trovato eccellenti interpretazioni fantasiose frutto di pasticceri bravissimi, molti dei quali hanno perfino avuto l’onestà intellettuale di fornire il prodotto di un nome personalizzato, dal momento che col pan del Toni non ha molto in comune.

Ho avuto l’infelice incontro anche con terribili riproduzioni di pessima qualità, è ovvio, ma di questi non vorrei occuparmi, sono sicura che avranno vita breve.

Detto ciò, premesso che per me – milanese imbruttita – il panettone è quello classico con uvette e canditi e basta, mi fa piacere offrire la mia personale carrellata di eccellenti lievitati e di proposte innovative. Poi tacerò per sempre.

lorenzo vassoio1jpg
Lorenzo Panzera presenta il Pan de Lor


Partiamo da Milano, è ovvio anche se non è scontato: a pari merito per il Panettone classico, quello con la P maiuscola, vorrei citare quattro pasticcerie che tra città e immediati dintorni rappresentano a mio avviso la milanesità storica del panettone.

Pasticceria Martesana di Enzo Santoro: milanese d’adozione da tanti anni, Enzo è certamente uno degli interpreti più raffinati del pregiato lievitato. Soffice al punto giusto, né molle né asciutto, saporito e ricco di canditi e uvette.

Pasticceria Panzera di Lorenzo Panzera: el sciur Panzera, milanese doc nei modi, nella parlata e nella personalità è l’essenza di Milano, moderato, equilibrato, riservato ma con un cuore grande. Così è il suo panettone che quest’anno ha voluto proporre anche in una versione nuova – il Pan de Lor – più una brioche/veneziana che un panettone ma certamente esempio di milanesità schietta come il suo ideatore.

Pasticceria Busnelli di Andrea Busnelli ad Arluno: Andrea, terza generazione, mette la qualità e la tradizione davanti a tutto e il suo panettone classico è un valore imprescindibile e immutato. Ogni anno, è sempre buono. Una certezza per chi non vuole sorprese.

Pasticceria Merlo di Maurizio Bonanomi a Pioltello: esperto e intransigente, Maurizio è un maestro vero della lievitazione; essere artigiano per lui è un vanto e la sua etichetta. Il vero panettone milanese come deve essere e come è sempre stato. Un pezzo di Milano incartato e fragrante.

gatti focacciajpgLa Focaccia di Claudio Gatti


Solo il classico? NO. Esistono lievitati che personalmente mi rifiuto di chiamare “panettone” che però incarnano e rappresentano l’evoluzione ideale del dolce originario e meritano di essere riconosciuti per la qualità, l’originalità o l’innovazione.

Al primo posto per me ci sono le Focacce della Pasticceria Tabiano di Claudio Gatti. Sono dolci unici per l’impegno nella ricerca di ingredienti nuovi, alternativi, sapientemente dosati e impiegati nel realizzare dei lievitati di apparente semplicità ma profonda complessità, frutto di studio ed esperienza oltre che di equilibrato gusto e armonia. Claudio è un filosofo del lievitato, unico e ineguagliabile.

Il Pan Matilde di Lucca Cantarin della Pasticceria Marisa a San Giorgio delle Pertiche in provincia di Padova: cioccolato e albicocche candite, mandorle e un impasto soffice e delicato, tra veneziana e panettone. Leggero e gustoso, è un fiore all’occhiello per Lucca, interprete molto equilibrato di sapori e aromi. Non c’entra nulla col panettone, ma da provare i suoi biscotti cioccolato e sale Maldon…se ne assaggi uno non smetti più.

anna chiavazzojpg
Anna Chiavazzo nel laboratorio del suo Giardino di Ginevra dove ha creato il Pan(n)di Bufala


Se torniamo in Lombardia non possiamo dimenticare Anna Sartori a Erba (Co): intellettuale, raffinata, spirituale e profonda conoscitrice dell’animo umano oltre che del corpo, Anna mette nei suoi dolci l’emozione di chi offre nutrimento nel senso più profondo della parola. Panettone classico sì, ma anche veneziana lieve e delicata, una poesia.

Scendiamo la penisola e fermiamoci a Prato. Paolo Sacchetti ci propone il suo Giulebbe con fichi e noci: la tradizione toscana più sincera e la professionalità di un maestro della pasticceria. Ricco e godurioso, un trionfo.

Mi fermo in Campania, non perché non esistano altri esempi illustri ma perché l’elenco sarebbe troppo lungo. A Caserta, Anna Chiavazzo ha avuto un’idea geniale, realizzare un lievitato in cui il burro è stato integralmente sostituito dalla panna fresca di bufala. Si chiama Pan(n) di Bufala e unisce leggerezza, sapore, versatilità di abbinamento e grande maestria nella lavorazione. Un prodotto che non ha eguali e nel quale Anna dimostra la sua sensibilità rara e la delicatezza e raffinatezza che la contraddistinguono come persona e donna.

Davide Comaschi_ Pralina_Galaxy Panettone_1jpg

La Pralina - Panettone Milano di Davide Comaschi


Passiamo a quello che è forse uno dei pregi maggiori del lievitato “diversamente panettone”: l’utilizzo e l’accostamento per e con i piatti più disparati della tavola all’italiana.

Qui le menti dolci del panorama culinario si sono scatenate. Vediamo qualche esempio interessante.

La Pralina – Panettone Milano, del pasticcere campione del mondo di cioccolateria Davide Comaschi è stata una delle interpretazioni più raffinate di questo Natale 2019. Racchiuso in una delicata camicia di cioccolato, il panettone ha trovato la sua espressione nuova, delicata, essenziale ed equilibrata. Una vera specialità per palati esigenti e molto chic. Una chicca da assaporare ma soprattutto da regalare come un gioiello.  

Naturalmente non si contano le ricette per gelato, in crema spalmabile o in versione salata, e

non parlo del panettone gastronomico, quell’invenzione a tutto gusto che è in realtà un grosso pan brioche da farcire con tutto ciò che si vuole e servire per antipasto o buffet.

Non voglio nemmeno prendere in considerazione le mille ricette del riciclo che la TV o i giornali ci propinano a ogni fine vacanza. Uffa, tutte le volte!

Attilio-Servi-Focaccia-Trionfo-Italiajpg
La Focaccia Trionfo d'Italia di Attilio Servi


Ci sono cuochi eccellenti che hanno, però, saputo valorizzare il panettone come ingrediente in ricette gustose e non da riciclo, bensì codificabili. Un paio di esempi, tanto per capire.

Durante l’ultima edizione di Re Panettone - la manifestazione milanese madre di tutte le manifestazioni sul panettone - lo chef Nicola Ferrelli della Trattoria Ferrelli a Milano, pugliese d’origine ma milanese d’adozione, ha proposto una bella ricetta: faraona disossata con ripieno di panettone. Non un panettone qualunque. Il panettone di Attilio Servi, eclettico e impegnato pasticcere romano che ha fatto del lievitato/panettone una vera specialità declinandolo di versioni interessanti sia salate sia dolci. Un piatto che prende spunto dalla tradizione pugliese delle carni avicole ripiene per diventare una gustosa portata che strizza l’occhio al dolce ma può essere antipasto, secondo, caldo o freddo.

sadler de risojpg
Salvatore De Riso e Claudio Sadler ritratti da Carlo Fico 


Si è cimentato col panettone/ingrediente anche lo chef Claudio Sadler.

Durante uno show cooking a gli Artisti del Panettone, evento milanese organizzato recentemente a palazzo Bovara, ha cucinato un piatto dove il cotechino brianzolo cotto con l’aggiunta di polvere di curry e le lenticchie di Castelluccio, piccole e poco farinose, fornivano la base per condire una zuppa di garganelli con scarola, arricchita come tocco finale di una sbriciolata di panettone essiccato in forno e sparso sulla superficie come fosse formaggio grattugiato. Il panettone? Quello di Salvatore De Riso, star della pasticceria amalfitana e vero specialista del dolce all’italiana. Un piatto trionfale per coronare le feste e annunciare con stile l’anno nuovo.

Buon 2020, e chissà che non ci riservi qualche sorpresa golosa?