Ferrelli a Milano, lo spirito libero della cucina

by Marina Caccialanza
 

La sua prima esperienza ai fornelli, a 5 anni col suo fratellino per fare la crema pasticcera; da piccolissimo il nonno vignaiolo già gli faceva assaggiare il vino e i piatti che sua mamma preparava nella cucina di casa, conditi rigorosamente con l’olio del frantoio di famiglia, sono stati la sua scuola e la sua ispirazione.

Nicola Ferrelli nasce in Puglia, a Castelnovo della Daunia, e il suo ristorante si chiama Trattoria Ferrelli a Milano quasi a definire le sue origini e a specificare che si trova sì a Milano ma vi è arrivato da lontano e le sue radici restano al sud.

“Lavoravo in una grossa industria chimica – racconta chef Nicola – prima alla produzione, poi al controllo qualità e alla ricerca, ma quando quel reparto fu chiuso e fui destinato alle spedizioni decisi che non era più il mio mondo e cedetti alla tentazione di abbracciare quella che era sempre stata la mia grande passione, la cucina. Così, nel 2008, cercai il locale adatto, non volevo rilevare un ristorante già esistente ma crearne uno tutto mio. Ferrelli a Milano è piccolo e raccolto, 40 coperti e un tavolo conviviale per gli amici; la cucina non offre molto spazio d’azione ma basta per me e i miei collaboratori; la zona è centrale ma un po’ defilata, con tanti uffici intorno; il palazzo è storico e nel minuscolo cortile posso tenere i miei vasi di erbe aromatiche ”.

Inizia così la sua avventura, l’inizio è un po’ in sordina, per tastare il terreno, a pranzo un menu easy per gli impiegati degli uffici della zona, la sera piatti comuni ma curati e, oggi, l’autodidatta, coraggioso, Nicola Ferrelli è nome conosciuto e la sua cucina apprezzata da molti.

Cucina tradizionale, creativa e naturale

Racconta Nicola Ferrelli: “Mi piace definire la mia cucina tradizionale creativa e naturale perché, fin da subito, ho deciso che avrei proposto dei piatti gustosi che facessero star bene il cliente; chi mangia alla mia tavola deve sentirsi come a casa, andare a dormire leggero e fare sonni tranquilli: è questo il mio concetto primario. Non uso il dado, non utilizzo la friggitrice perché friggo e butto l’olio usato, processo l’aglio in modo che sia digeribile, scelgo le materie prime in base alla stagione e alla qualità. Metto in tavola l’olio extra vergine che produce il frantoio di famiglia, dovutamente etichettato. Ho imparato a cucinare da mia mamma che faceva la besciamella col latte fresco del contadino e tutto questo mi è rimasto dentro. Vengo dal sud, ma ho viaggiato, e mi sono reso conto che la materia prima sta alla base di tutto”.

Un menu composto di pochi piatti scelti con cura, secondo la stagione e la disponibilità: “Se vado al mercato e trovo la cima di rapa fresca perché cresciuta nel periodo giusto, preparo le orecchiette che mi manda mamma da giù; se c’è il pesce fresco lo compro, altrimenti non lo propongo proprio; faccio la cotoletta alla milanese perché è molto richiesta ma invece di utilizzare il vitello che secondo me è poco saporito uso il maiale mantovano, particolarmente gustoso. Parto sempre dalla tradizione, ma aggiungo qualcosa di personale che identifica il piatto”.

La carne è sempre presente in carta e in piatti speciali preparati periodicamente secondo l’estro, la disponibilità, il momento e (perché no?) l’umore di Nicola, personaggio eclettico e vulcanico che così ci racconta il suo menu/carne: “Cucino di tutto dalle uova al pesce alla carne, secondo la disponibilità del momento, e non ci sono molti piatti in carta ma una piccola selezione di ricette preparate espressamente. Recentemente ho scoperto un metodo di cottura americano nel quale la carne viene cotta a 80°C in forno, non sottovuoto ma avvolta in stagnola o carta forno, che assicura morbidezza e sapore dopo una semplice rosolatura finale: la carne si scioglie in bocca e viene molto valorizzata, secondo la mia opinione. Uso poco vitello perché non lo trovo abbastanza saporito: quando lo faccio, scelgo quello olandese di Van Drie che trovo particolarmente buono e di qualità: sono all’avanguardia nell’allevamento in farm e nel controllo di filiera. Preferisco il manzo, scamone marchigiano o scottona piemontese, ma spazio tra ogni genere di carne dalla cacciagione all’agnello. Il maiale è quello mantovano, l’agnello e il maialino da latte dalla Sardegna; per il manzo ho scoperto anche le carni sudamericane, uruguayane in particolare: sono straordinariamente buone.

Preparo la tagliata con lo scamone, ungo con olio e metto su piastra, poi taglio a fette su un piatto caldo, aggiungo rosmarino fresco e pepe di Sichuan dolcissimo e finisco con olio bollente che butto sul piatto, uno spettacolo! Qualche volta mi faccio mandare la carne dal mio paese dove il mio fornitore macella personalmente bovini locali. Cerco di selezionare con attenzione perché la qualità è uno dei criteri più importanti. Posso farlo perché sono piccolo e non ho bisogno di grandi quantitativi. Per esempio le carni bianche che a Milano non sono molto apprezzate – il pollo viene considerato carne da poco, il coniglio fastidioso e l’agnello proprio non lo vuole nessuno – le preparo in occasioni speciali con ricette originali e in quei casi le compro da Eataly che offre ottimi prodotti a un costo apparentemente elevato ma decisamente in linea come rapporto qualità/prezzo”.

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coniglio all'ischitana

Creatività vuol dire anche ricerca e collaborazione

Nella sua costante ricerca della qualità Nicola Ferrelli ha recentemente ideato un piatto molto particolare. Da diversi anni, come dessert nel suo ristorante è possibile gustare i dolci dell’amico pasticcere romano Attilio Servi, lievitista di grande esperienza e imprenditore molto all’avanguardia. Una delle sue focacce ha ispirato, in occasione della manifestazione Re Panettone, una ricetta che crea un connubio tra la tradizione pugliese e l’innovazione offrendo a livello sensoriale un gusto nuovo, come spiega Nicola: “Per la mia faraona disossata ripiena mi sono ispirato a un piatto tradizionale della cucina pugliese, del mio paese Castelnovo della Valle, dove si usa cucinare il pollo ruspante intero, ripieno di frattaglie e interiora. Di solito si prepara il ripieno con le uova, il prezzemolo, le frattaglie e il pecorino e si cuoce il pollo con la salsa di pomodoro o arrosto. Io ho usato la faraona, l’ho disossata e ho preparato il ripieno ma qui ho pensato a qualcosa di nuovo: prendendo spunto dall’usanza di un paese vicino, Casalvecchio di Puglia, dove lo fanno dolce invece che salato, ho utilizzato come elemento legante il panettone Pere e Parmigiano di Attilio Servi inserito per il 30% del totale. Ho riempito il rollé di faraona col ripieno che faccio coi durelli, i fegatini e le creste di gallo e l’ho cotto arrosto con alloro e pepe utilizzando la tecnica che spiegavo prima: morbidissimo, delizioso, appena rosolato. È stato molto apprezzato e adesso lo propongo dietro richiesta o quando trovo la faraona giusta. È un modo per offrire un’alternativa di carni insolite che in questo modo vengono valorizzate”.  

Abbiamo intervistato Nicola Ferrelli per iMeat giornale 2 mesi fa e ci ha raccontato la sua visione della cucina. Oggi a porte chiuse per il pubblico a causa delle disposizioni dovute alla pandemia, chef Nicola cucina per i suoi clienti e porta personalmente a casa loro la cena scelta da un menu creato appositamente e disponibile ogni weekend: in attesa di riaprire presto le porte di Trattoria Ferrelli a Milano. 

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