by Marina Caccialanza Montagne che si gettano nel mare, muretti a secco che moltiplicano le superfici dove l’olivo e la vite spiccano. Un territorio aspro, ricco di biodiversità che improvvisamente esplode nei colori vivaci dei fiori, nel verde intenso delle coltivazioni, tra il bianco e il blu delle onde. La Liguria è così e il suo capoluogo, Genova, ne racchiude la sostanza, la cultura antica, che si esprime con una gastronomia che ondeggia tra il povero e l’opulento, tra la carne dalle colline e il pesce dal mare, il tripudio delle verdure e la semplicità di pani e focacce. I Liguri, e i Genovesi in particolare, non sono altro che l’espressione di un mondo piccolo nelle dimensioni, racchiuso in se stesso perché deve contenere tanto in poco spazio, ma grande nei profumi e sapori che spaziano dal mare alla campagna, nella fantasia con la quale elaborano i prodotti che terra e acqua donano loro: un paniere immenso. Sul carattere dei Genovesi si scherza spesso, oggetto di satira da sempre; come non andare col pensiero a spettacoli di cabaret dove l’abitante di Genova viene bonariamente deriso per le sue “parsimonia e riservatezza”. Luoghi comuni, che nascono però da una realtà dove chi vive in un luogo così aspro ha imparato, nel corso della storia umana, a conservare con cura ciò che ha a disposizione perché raro e prezioso e, pertanto, non un difetto ma una dote.
Il mondo della ristorazione genovese sta attraversando una fase di rinascita e nuovi locali stanno sorgendo in città grazie all’intraprendenza di molti giovani. È il caso di Life Albaro, a pochi passi dal centro di Genova, approccio salutistico e convivialità equilibrata; piatti studiati per una cucina veloce ma armoniosa, moderna. Richiama la tradizione più genuina e la rende contemporanea, Acciugin: cibo di strada dove le tipiche acciughe genovesi si accompagnano al Gin Tonic. Aspira a vette più ricercate Cucine Ducale col suo pranzo casual, l’aperitivo ricco di sfiziosità e la cena creativa in un contesto non convenzionale, il Palazzo Ducale di Genova. Riapre l’antica Osteria del Bai dove il pesce è sovrano, e sbarcano format alla moda come Poke Scuse, il nuovo fast food che ha conquistato giovani e meno giovani. Solo per citare alcune delle nuove proposte in una città all’apparenza assopita ma in fermento. Genova si apre al mondo e mira a coinvolgere i suoi cittadini con quella che, se non può essere considerata movida sull’esempio di città più aperte, appare come un risveglio.
Ne è consapevole Monica Capurro, genovese, ristoratrice, donna di grande sensibilità che rispecchia e interpreta la “genovesità” dei suoi concittadini trasformandola in accoglienza, solarità e sorriso. Il suo Ristorante Santamonica, che gestisce col marito Andrea Giachino, nasce dopo una lunga parentesi di ristorazione tradizionale di territorio dove il pesto, lo stocco e la farinata scandiscono il ritmo della cucina e l’offerta è a buon mercato: “Siamo partiti dalla base con un’osteria tipica e siamo approdati in un locale sul mare, bello, dove la cucina, sempre di territorio perché utilizziamo pesce di Camogli e verdure del contadino, si declina con materie prime eccellenti ed è elaborata secondo criteri gourmet per un’offerta più raffinata a prezzi adeguati”. Monica Capurro non ha dubbi, lo conosce bene: “È un cliente molto difficile. Il problema del genovese consiste nella sua ritrosia a spendere che non è dovuta, banalmente, ad avarizia pura e semplice, ma alla sua riservatezza innata. Il genovese esce poco, ama restare a casa, non ha l’abitudine di fare l’aperitivo con gli amici, se lo fa preferisce locali alla buona; se cena al ristorante inorridisce davanti a un conto che supera i 35 euro perché gli manca la volontà, o la curiosità, di interrogarsi sul valore delle cose. Il genovese si chiede soltanto ‘quanto spendo in quel posto?’ ma non si chiede ‘perché?’. Non vuole sapere cosa mangia e come si trova nel luogo dove mangia, non si interroga sulla differenza tra una trofia al pesto e un gambero viola. Il genovese sta bene tra casa e lavoro, e fa fatica a lasciare la sicurezza del nido: non ha certo sofferto per le restrizioni del lockdown”. Riservatezza, poca socievolezza, possono sembrare difetti ma sono soltanto l’espressione di un’indole diversa da quella di altri, da capire. E al momento buono il genovese sa rispondere con disponibilità. Bisogna insegnargli ad aprirsi, afferma Monica, che descrive così l’esperienza del Santamonica: “Il nostro compito non è solo quello di fornire una ristorazione di alto livello, è anche quello di accompagnare il nostro cliente alla comprensione di quello che offriamo. Comunicare col cliente è fondamentale o tutto il nostro lavoro sarà sprecato. E poi, noi genovesi dobbiamo imparare a uscire di più, a riempire le strade, secondo le nostre possibilità ma con entusiasmo”. Come si accompagna un cliente riservato e schivo a incontrare la condivisione e la socievolezza? Al Ristorante Santamonica la qualità è al primo posto, spiega Capurro: “Noi non rinunciamo alla qualità, la qualità ci ha salvato in questo frangente, ne abbiamo la prova nella fedeltà dei clienti di ieri e nell’entusiasmo dei clienti di oggi, e sono convinta che sia la chiave di volta per superare la crisi. Il nostro cliente, vuole proposte originali, abbinamenti insoliti, apprezza la ricerca nel vino: insieme al nostro chef Domenico Volta offriamo l’esperienza e il coinvolgimento. Vuole essere incuriosito e spronato e tocca a noi fare in modo che trovi le risposte ai suoi dubbi, spiegando, raccontando e, anche, forse soprattutto, ascoltandolo”. Le ansie del periodo storico che stiamo vivendo fanno da sfondo a una ristorazione che evolve e aggiunge valore alle sue scelte. Conclude Monica Capurro: “Torna lentamente l’abitudine al pranzo della domenica con la famiglia. Tornano i clienti delle seconde case, i milanesi in primis, e li accogliamo offrendo loro due ore di serenità, ne hanno bisogno e si capisce. L’accoglienza, la qualità e il sentirsi bene devono essere il nostro biglietto da visita e, allora, anche Genova aprirà le braccia al mondo”.
Il Santamonica, dunque, si può considerare l’evoluzione di un sistema di ristorazione che, tradizionalmente, si sviluppa tra piatti rustici, a basso costo, per un cliente di gusti semplici. E la domanda è “che tipo di cliente è, quindi, il genovese?”.
Monica Capurro non ha dubbi: “Col dialogo e l’attenzione ai particolari. Gli ultimi tempi, difficili per tutti, hanno dato origine a due differenti effetti: da un lato ci siamo rinchiusi sempre più nel nostro intimo, dall’altro sentiamo il bisogno di uscire e dare sfogo alla nostra gioia. Siamo tutti combattuti. I genovesi ancora di più. Eravamo già prudenti, figuriamoci adesso”.
Le foto del Ristorante Santamonica sono di Paolo Picciotto e Francesco Zoppi
articolo pubblicato su sala&cucina aprile 2022