Genova da scoprire
Montagne che si gettano nel mare, muretti a secco che moltiplicano le superfici dove l’olivo e la vite spiccano. Un territorio aspro, ricco di biodiversità che improvvisamente esplode nei colori vivaci dei fiori, nel verde intenso delle coltivazioni, tra il bianco e il blu delle onde. La Liguria è così e il suo capoluogo, Genova, ne racchiude la sostanza, la cultura antica, che si esprime con una gastronomia che ondeggia tra il povero e l’opulento, tra la carne dalle colline e il pesce dal mare, il tripudio delle verdure e la semplicità di pani e focacce.
I Liguri, e i Genovesi in particolare, non sono altro che l’espressione di un mondo piccolo nelle dimensioni, racchiuso in se stesso perché deve contenere tanto in poco spazio, ma grande nei profumi e sapori che spaziano dal mare alla campagna, nella fantasia con la quale elaborano i prodotti che terra e acqua donano loro: un paniere immenso.
Sul carattere dei Genovesi si scherza spesso, oggetto di
satira da sempre; come non andare col pensiero a spettacoli di cabaret dove
l’abitante di Genova viene bonariamente deriso per le sue “parsimonia e
riservatezza”. Luoghi comuni, che nascono però da una realtà dove chi vive in
un luogo così aspro ha imparato, nel corso della storia umana, a conservare con
cura ciò che ha a disposizione perché raro e prezioso e, pertanto, non un
difetto ma una dote.
Il mondo della ristorazione genovese sta attraversando una fase di rinascita e nuovi locali stanno sorgendo in città grazie all’intraprendenza di molti giovani.
È il caso di Life Albaro, a pochi passi dal centro di Genova, approccio salutistico e convivialità equilibrata; piatti studiati per una cucina veloce ma armoniosa, moderna. Richiama la tradizione più genuina e la rende contemporanea, Acciugin: cibo di strada dove le tipiche acciughe genovesi si accompagnano al Gin Tonic. Aspira a vette più ricercate Cucine Ducale col suo pranzo casual, l’aperitivo ricco di sfiziosità e la cena creativa in un contesto non convenzionale, il Palazzo Ducale di Genova. Riapre l’antica Osteria del Bai dove il pesce è sovrano, e sbarcano format alla moda come Poke Scuse, il nuovo fast food che ha conquistato giovani e meno giovani. Solo per citare alcune delle nuove proposte in una città all’apparenza assopita ma in fermento.
Genova si apre al mondo e mira a coinvolgere i suoi cittadini con quella che, se non può essere considerata movida sull’esempio di città più aperte, appare come un risveglio.
Ne è consapevole Monica Capurro, genovese, ristoratrice, donna di grande sensibilità che rispecchia e interpreta la “genovesità” dei suoi concittadini trasformandola in accoglienza, solarità e sorriso.
Il suo Ristorante Santamonica, che gestisce col marito
Andrea Giachino, nasce dopo una lunga parentesi di ristorazione tradizionale di
territorio dove il pesto, lo stocco e la farinata scandiscono il ritmo della
cucina e l’offerta è a buon mercato: “Siamo partiti dalla base con un’osteria
tipica e siamo approdati in un locale sul mare, bello, dove la cucina, sempre
di territorio perché utilizziamo pesce di Camogli e verdure del contadino, si
declina con materie prime eccellenti ed è elaborata secondo criteri gourmet per
un’offerta più raffinata a prezzi adeguati”.
Il Santamonica, dunque, si può considerare l’evoluzione di un sistema di
ristorazione che, tradizionalmente, si sviluppa tra piatti rustici, a basso
costo, per un cliente di gusti semplici. E la domanda è “che tipo di cliente è,
quindi, il genovese?”.
Monica Capurro non ha dubbi, lo conosce bene: “È un cliente molto difficile. Il problema del genovese consiste nella sua ritrosia a spendere che non è dovuta, banalmente, ad avarizia pura e semplice, ma alla sua riservatezza innata. Il genovese esce poco, ama restare a casa, non ha l’abitudine di fare l’aperitivo con gli amici, se lo fa preferisce locali alla buona; se cena al ristorante inorridisce davanti a un conto che supera i 35 euro perché gli manca la volontà, o la curiosità, di interrogarsi sul valore delle cose. Il genovese si chiede soltanto ‘quanto spendo in quel posto?’ ma non si chiede ‘perché?’. Non vuole sapere cosa mangia e come si trova nel luogo dove mangia, non si interroga sulla differenza tra una trofia al pesto e un gambero viola. Il genovese sta bene tra casa e lavoro, e fa fatica a lasciare la sicurezza del nido: non ha certo sofferto per le restrizioni del lockdown”.
Riservatezza, poca socievolezza, possono sembrare difetti ma sono soltanto l’espressione di un’indole diversa da quella di altri, da capire. E al momento buono il genovese sa rispondere con disponibilità.
Bisogna insegnargli ad aprirsi, afferma Monica, che descrive così l’esperienza del Santamonica: “Il nostro compito non è solo quello di fornire una ristorazione di alto livello, è anche quello di accompagnare il nostro cliente alla comprensione di quello che offriamo. Comunicare col cliente è fondamentale o tutto il nostro lavoro sarà sprecato. E poi, noi genovesi dobbiamo imparare a uscire di più, a riempire le strade, secondo le nostre possibilità ma con entusiasmo”.
Come si accompagna un cliente riservato e schivo a
incontrare la condivisione e la socievolezza?
Monica Capurro non ha dubbi: “Col dialogo e l’attenzione ai particolari. Gli
ultimi tempi, difficili per tutti, hanno dato origine a due differenti effetti:
da un lato ci siamo rinchiusi sempre più nel nostro intimo, dall’altro sentiamo
il bisogno di uscire e dare sfogo alla nostra gioia. Siamo tutti combattuti. I
genovesi ancora di più. Eravamo già prudenti, figuriamoci adesso”.
Al Ristorante Santamonica la qualità è al primo posto, spiega Capurro: “Noi non rinunciamo alla qualità, la qualità ci ha salvato in questo frangente, ne abbiamo la prova nella fedeltà dei clienti di ieri e nell’entusiasmo dei clienti di oggi, e sono convinta che sia la chiave di volta per superare la crisi. Il nostro cliente, vuole proposte originali, abbinamenti insoliti, apprezza la ricerca nel vino: insieme al nostro chef Domenico Volta offriamo l’esperienza e il coinvolgimento. Vuole essere incuriosito e spronato e tocca a noi fare in modo che trovi le risposte ai suoi dubbi, spiegando, raccontando e, anche, forse soprattutto, ascoltandolo”.
Le ansie del periodo storico che stiamo vivendo fanno da sfondo a una ristorazione che evolve e aggiunge valore alle sue scelte. Conclude Monica Capurro: “Torna lentamente l’abitudine al pranzo della domenica con la famiglia. Tornano i clienti delle seconde case, i milanesi in primis, e li accogliamo offrendo loro due ore di serenità, ne hanno bisogno e si capisce. L’accoglienza, la qualità e il sentirsi bene devono essere il nostro biglietto da visita e, allora, anche Genova aprirà le braccia al mondo”.
Le foto del Ristorante Santamonica sono di Paolo Picciotto e Francesco Zoppi
articolo pubblicato su sala&cucina aprile 2022