La Cassoeula è in tavola

by Marina Caccialanza

Sono gli umidi, i piatti che rispondono allo stile della cucina milanese. Una cottura lenta e lunga che consente ai cibi di rilasciare i suoi sapori, ai condimenti di fondersi agli alimenti e alle carni di mantenere la loro morbidezza. La carne cuoce nei suoi umori, senza aggiunta di liquidi, il coperchio racchiude l’umidità e in questo modo le cartilagini si sciolgono, non si attacca alla pentola e raggiunge quel grado di collosità che nel caso della cassoeula permette di affermare: la cassoeula la gh’à de vèss tachenta, e minga sbrodolada e sbrodolenta.

Per ottenere questo risultato, un tempo si usava una pentola di rame di forma sferica schiacciata ai poli, detta stovìn; il coperchio si incastrava al bordo in modo che il vapore acqueo non potesse uscire in cottura.

La ricetta ha origini antiche, contadine. Del maiale non si butta nulla e gli ingredienti della cassoeula sono proprio quei tagli meno nobili che rimanevano dopo la macellazione e l’impiego delle carni per la lavorazione dei salumi. Costine, cotenne, piedini, musino, orecchie, codino; e i salamìtt di verz, corte salsicce quasi tonde di carne di maiale tritata fine con sale e spezie, ottimi da cuocere in umido.

Le verze migliori, quelle da utilizzare nella cassoeula, sono quelle che hanno preso le prime gelate autunnali. Questa condizione permette alla verza di restare croccante una volta cotta.

Il nome ha origini incerte, potrebbe derivare da cassoeu, ossia mestolo in dialetto, oppure da casseruola. Quasi certamente l’usanza di cucinare in questo modo verza e maiale risale all’epoca della dominazione spagnola di Milano, tra il 1500 e il 1600 e per la verità possiamo trovare infinite varianti ed esempi illuminanti nella cultura culinaria di molte parti d’Italia e d’Europa.

Il primo a citare un piatto simile è Mestre Robert (pseudonimo di Ruperto de Nola), un cuoco spagnolo vissuto tra il XV e il XVI secolo, nel suo libro di cucina Llibre del Coch dove parla della Cassola de carn; poi ci sono gli ebrei che come prova della loro conversione al cristianesimo, sempre in Spagna, sono costretti a modificare il loro piatto tipico adafina (brodo di montone, ceci e cavoli) nella olla putrida; ma gli esempi si sprecano, vogliamo parlare del cassoulet della Linguadoca?

La tradizione milanese però ci porta a Sant’Antonio abate, protettore degli animali domestici, spesso raffigurato con accanto un maiale che porta al collo una campanella. Il 17 gennaio la Chiesa benedice gli animali ponendoli direttamente sotto la protezione del santo. In quella data si terminava il periodo della macellazione del maiale. Ecco la ragione della cassoeula.

Poco importa da dove viene. Il piatto è quasi dimenticato, troppo calorico, troppo grasso, opulento e dal gusto decisamente invadente per il palato moderno. Troppo lungo da preparare, almeno 3 ore. Forse anche troppo rustico. Eppure, mantiene il fascino di una cucina familiare e sincera, da giorno di festa.

Perfetto con la polenta, altro retaggio contadino che nella pianura padana ha rappresentato per secoli il nutrimento quotidiano. Certamente da rivalutare.

 

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