Milano, sontuosa ma essenziale
Basta con i luoghi comuni! Milano è una città triste, è caotica, i milanesi sono poco amichevoli.
La cucina milanese è povera e grossolana.
Niente di più falso. Partiamo da quest’ultima affermazione.
Lasciamo perdere le meraviglie nascoste tra cortili interni, vie appartate, chiese dimenticate che Milano conserva con riservatezza; non parliamo nemmeno del carattere dei milanesi, schivo e riservato forse, ma certamente non inospitale.
Il fatto è che non ci piace sbandierare i fatti nostri, preferiamo mantenere un certo riserbo e poco ci curiamo dell’opinione altrui.
Pensiamo piuttosto alla cucina che è uno dei grandi piaceri della vita, a cui i milanesi non sono per niente insensibili.
Scriveva, nell’800, il grande medico e igienista Paolo Mantegazza, figlio di quella Laura Solera Mantegazza che fondò la prima scuola professionale femminile, nel suo Fisiologia del Piacere: “Oserei dire che nella scala dei piaceri della gola in Europa, i francesi e i lombardi stanno in cima agli altri”.
I milanesi in fondo sono goderecci, e sono molte, in effetti, le assonanze tra la cucina francese e quella lombarda e milanese in particolare.
Prima di tutto il concetto di base: cuocere a lungo e lentamente, mijotter, sempre col coperchio ben chiuso a formare il vapore. Poi le materie prime: la cucina milanese, al pari di quella francese, è au beurre: è il burro a dominare. Il motivo è semplice, l’olio non c’era e se c’era era troppo caro per chiunque. Veniva sostituito, talvolta, dall’olio di lino ma non era granché. Era un fatto invece che lungo il Naviglio arrivassero quotidianamente i barconi che portavano latte e panna dalle cascine.
Tanti i piatti tradizionali, impossibile elencarli tutti. La cotoletta, o costoletta, è forse il più famoso (pare facesse impazzire anche Radetzky), rigorosamente di lombata di vitello con l’osso, alta un dito, fritta nel burro spumeggiante, e poco importa se “rubata” alla cucina austriaca o, più probabilmente il contrario, resta una prelibatezza d’élite, ben diversa dalle fettine trasparenti e insapori, magari di pollo, che oggi vengono spacciate per “cotoletta”.
Cacciagione, piccioni, quaglie. Le carni in umido, ricche di verdure e cotte lentamente perché le cartilagini rilascino la loro consistenza gelatinosa rendendo l’intingolo più gustoso; la trippa di foiolo coi pregiati fagioli bianchi di Spagna; la cazzoeula, dove l’ingrediente principale non è la verza, che serve solo da contorno, ma i vari tagli di maiale rosolati e insaporiti: umidi e collosi perché la cazzoeula “la gh’ha de vess tachenta”.
Tipico piatto milanese è il lesso. Ma anche qui, attenzione, non si tratta di carne di ripiego, tagli di seconda scelta da sfruttare per fare il brodo. La tradizione lo vuole di manzo, scamone o cappello del prete, e di biancostato; immancabili la testina di vitello (con cui, poi, si prepareranno i nervetti, i gnervìtt), il cappone, la lingua e lo zampone. Il suo brodo è talmente ristretto da essere utilizzato come una salsa e versato a cucchiaiate sulle fette calde spolverate di pochi grani di sale grosso, con accompagnamento di salse e sottaceti. Col brodo, allungato, si prepara il risotto - giallo allo zafferano ma anche con spinaci, piselli, verza, prezzemolo, salsicce.
Ma tornando al bollito, la carne rimasta diventa l’ingrediente principale delle polpette che non sono, come potrebbe sembrare, un metodo di riciclo degli avanzi, ma un piatto nuovo con una sua ricca identità: i mondeghili.
Ne riparleremo!