Oggi cucino io, anzi no…il pranzo portamelo tu

by Marina Caccialanza

La parola magica degli ultimi tempi è stata DELIVERY.

Il delivery ha permesso alla maggior parte delle attività di ristorazione di continuare a soddisfare i propri clienti e in molti casi anche di trovarne di nuovi.

Il delivery ha offerto quel tanto/poco introito necessario a pagare le spese di gestione anche se, a detta di tutti, non ha fornito alcun guadagno effettivo.

Il delivery ha dato la possibilità di mantenere il contatto diretto con la propria clientela, di non farsi dimenticare o cambiare ristorante preferito.

Delivery e take away sono stati l’unica risorsa possibile per chi non ha voluto o potuto semplicemente abbassare la saracinesca e chiudersi in casa.

Un sollievo e una fatica, un aiuto e un impegno gravoso perché organizzare un sistema efficiente di delivery non è cosa facile e non tutti hanno potuto dedicarcisi.

Eppure, se è vero che la cucina e il buon cibo per gli italiani sono un valore irrinunciabile tanto che durante il recente lockdown siamo stati letteralmente subissati di ricette casalinghe, professionali, nuove, antiche o semplicemente tentate con risultati spesso opinabili, adesso la voglia di uscire lotta con il timore e cerca di sottometterlo e per il mondo della ristorazione – comprese gelaterie, pasticcerie, forni o bar - si apre uno scenario ottimistico seppure cauto.

Secondo un’indagine effettuata da SEMrush piattaforma di Saas per la gestione della visibilità on line, gli utenti che si sono collegati a siti di cucina sono aumentati in media del 22% a marzo e dell’11% ad aprile, mentre il numero di sessioni complessive è cresciuto del 19% a marzo e del 10% ad aprile.
Parallelamente ai siti di cucina, sono aumentate in maniera importante (e con percentuali maggiori) anche le visite ai siti di consegna cibo a domicilio. Una semplice coccola o una necessità dovuta a tentate ricette non riuscite?

Ciò che emerge leggendo i dati dell’indagine è che questi siti tra marzo e aprile hanno avuto un incremento medio del numero di visite pari al 26%, e un incremento di utenti unici del 25%. Il più utilizzato è Justeat.it, con una media di 3,8 milioni di visite e 1,8 milioni di utenti unici. Il sito che ha registrato un maggior incremento di visite è stato Glovoapp.com, cresciuto addirittura del 43% durante il lockdown, mentre, per quanto riguarda il numero di utenti unici, la crescita più importante è stata registrata da Deliveroo.it, con un 28% in più.

Accanto a coloro che si sono ingegnati per effettuare il servizio personalmente, dunque, anche le piattaforme dedicate hanno riscosso interesse e l’abitudine di ordinare il pasto e riceverlo direttamente a casa pare non perdere appeal.

Insomma, gli italiani si sono stancati di cucinare, hanno ancora poca voglia di uscire ma non rinunciano a mangiare bene: la comodità del divano di casa è ineguagliabile. 

Pigrizia o solo un cambio di abitudini?

Da una ricerca condotta da Coldiretti prima dell’emergenza Coronavirus sembrava che il 60% dei consumatori di cibo a domicilio fossero i Millennials seguiti dai 36/45enni (35%) e un restante 5% di persone sopra i 45 anni: prevalentemente impiegati (39%), studenti (33%), professionisti per il 14% e solo il 2% casalinghe. Più uomini che donne (55% contro 44%).

Oggi, lo scenario si allarga e suggerisce sviluppi ancora tutti da interpretare; soprattutto pone l’attenzione sulla meccanica del fenomeno che richiede competenza e analisi attenta: un investimento in termini di preparazione oltre che di denaro, tempo e fatica.

Da un lato l’operatore che vede nel sistema un’opportunità, tanto che alcuni già stanno valutando l’opzione di trasformare i propri locali in ghost kitchen, ossia cucine dove si preparano piatti esclusivamente destinati al delivery rinunciando alla somministrazione in loco, un’inversione di tendenza rispetto agli ultimi anni che vedevano le botteghe artigiane proporre street food.

Dall’altro lato, il consumatore che chiede una serie di garanzie che vanno dal rispetto dei diritti dei lavoratori rider alla sicurezza dei prodotti e del loro trasporto alla qualità degli ingredienti impiegati per la preparazione, esigenze amplificate dalla situazione e da una riflessione doverosa sulle dinamiche sociali e sulle precauzioni necessarie per mettere in atto o integrare l’attività di delivery.

Non c’è dubbio, fare delivery offre nuove opportunità di intercettare una clientela prima inusuale; è un modo di offrire comfort alla clientela abituale; amplia il giro d’affari del ristorante e si rivela una sfida interessante in grado di soddisfare esigenze diverse in qualsiasi periodo in cui l’affluenza sul posto può essere limitata, come i mesi invernali o particolari giorni della settimana.

Durante un recente webinar organizzato sulla piattaforma Formalimenti, in collaborazione con la società di consulenza Viesse Consulting, il tecnologo alimentare Marco Valerio Sarti ha puntato l’attenzione sugli aspetti legislativi e normativi del problema oltre ad esporre in maniera sintetica questioni organizzative e scenari possibili in considerazione del fatto che cogliere quest’opportunità deve, necessariamente e oggi più di sempre, attenersi in maniera meticolosa a determinati schemi normativi ed etici. 

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I passaggi obbligati, costi e immagine

Marco Valerio Sarti ha individuato una serie di requisiti che chi pensa di dedicarsi al delivery dovrebbe prendere in attento esame: per prima cosa, scegliere se effettuare il delivery in autonomia o affidarlo a player. Il delivery in autonomia presenta dei costi impegnativi: occorre valutare attentamente l’equilibrio tra il costo medio per piatto con quello del packaging, della piattaforma per gli ordini, il costo orario del rider, quello del mezzo di trasporto compreso il carburante, i costi per una campagna di marketing efficace, le commissioni sui pagamenti digitali (indispensabili) ed eventuali costi di gestione e organizzazione. Insomma, non basta decidere il food cost del piatto come se fosse consumato in sala, bisogna guardare oltre.
Se si opta per l’outsourcing bisogna considerare attentamente le commissioni che i player esigono e valutarne il vantaggio o meno rispetto all’autonomia tenendo presente che in questo caso quelli che sono gli obblighi in merito al personale e al trasporto effettivo restano a carico della piattaforma.

Poniamo il caso che questa scelta si stata fatta. Il ristoratore che decide di operare autonomamente deve farlo sapere ai suoi clienti fedeli e potenziali attraverso una comunicazione efficace che potrebbe contemplare l’uso di chatbox per il sistema di ordinazione; un packaging personalizzato, comunicativo ed ecosostenibile; un sito web ben strutturato; cura maniacale per la qualità e l’igiene del servizio comprese le istruzioni per il consumo ottimale del pasto erogato; infine, ma non meno importante, la formazione dei riders come abbigliamento, comportamento e atteggiamento. Il ristoratore ci mette la faccia e se prima il servizio in sala era il biglietto da visita del ristorante, oggi lo è la consegna.


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Rispetto delle leggi, la burocrazia non perdona

Quanti conoscono le leggi e le normative che regolamentano l’attività di delivery e asporto? Molti di sicuro – sono norme già esistenti - ma forse vale la pena rinfrescare la memoria.

Tra le difficoltà da affrontare, bisogna mettere in gioco la verifica degli adempimenti legislativi e autorizzativi; l’aggiornamento della procedura manuale HACCP; la valutazione autorizzativa e la pulizia del mezzo di trasporto utilizzato per il servizio; la valutazione e scelta di piattaforme per le ordinazioni; la valutazione specifica in ambito di sicurezza su luogo di lavoro per i riders.

L’organizzazione degli spazi deve rispondere a requisiti che le normative già prevedono come la corrispondenza dell’area deposito alimenti con la notifica SCIA o altro previsto; gli imballi per il delivery riposti in appositi armadi o locali chiusi; le aree di preparazione devono soddisfare le specifiche tecniche previste in materia di igiene. L’etichettatura è fondamentale e deve rispondere ai principali riferimenti normativi relativi all’informazione sugli alimenti ai consumatori, compresi gli allergeni e le modalità di utilizzo, conservazione o rigenerazione dell’alimento, e sull’igiene dei prodotti poiché il servizio sia mediante E-commerce sia tramite ordini telefonici viene inquadrato come vendita a distanza e il ristoratore è obbligato a fornire al cliente tutte queste informazioni all’atto dell’ordinazione.

In sostanza il cliente quando sceglie dal menu proposto – online, al telefono o con qualsiasi altra modalità - deve essere in grado di farlo con cognizione per poter mettere in atto tutte le precauzioni necessarie.

Facciamo una breve carrellata, infine, dei requisiti necessari per l’impiego di personale addetto al delivery. Devono naturalmente essere maggiorenni, in possesso di qualifica di guida per il mezzo assegnato che sarà idoneo, in possesso di assicurazione personale e per la circolazione, in possesso di DPI (dispositivi di protezione individuale) e devono essere formati e informati secondo la Legge 81/08 in merito alla sicurezza sul lavoro. Anche i rider devono essere inquadrati come lavoratori subordinati secondo il Jobs Act, l’ha recentemente ribadito la Cassazione.

Si apre per tutti un periodo nuovo, opportunità da sviluppare in piena consapevolezza, difficoltà da affrontare ma superabili. Essere preparati e informati potrebbe fare la differenza.


In copertina: la sala del ristorante della Scuola Alberghiera di Serramazzoni