Peccati di gola, sì ma vegani

by Marina Caccialanza

Per giudicare bisogna conoscere; per capire bisogna provare. È quello che mi sono detta quando Daniela Ficetola, fondatrice di una scuola di cucina molto speciale a Milano – NoLab Academy – mi ha invitato a partecipare a un mini corso di pasticceria vegana.

Premetto che sono a favore della libertà di scelta sempre e anche se mi considero onnivora convinta non disprezzo chi ha fatto scelte alimentari diverse dalle mie, anzi cerco di capirne le ragioni e conoscerne i dettagli perché credo che prima di decidere serva cognizione di causa.

Ho assistito, partecipato, imparato e forse (un pochino) capito. Ci vorrebbe ben altro per addentrarsi nelle tecniche ed io sono all’inizio del percorso cognitivo, ma ci provo.

La cucina vegana esprime certamente sfumature di gusto, aldilà dei principi filosofici o morali di cui non intendo discutere, assai differenti da quelle che siamo abituati a gustare e apprezzare. Non è per tutti, serve preparazione e familiarità.

Vorrei parlare del sapore, della consistenza, dell’aroma e del profumo, della salubrità, della digeribilità. Anche quest’ultimo fattore è importante.

Ebbene, piatti vegetariani o vegani ne ho assaggiati spesso grazie alla mia professione che mi consente di sperimentare cucine le più disparate comprese quelle di chef importanti e apprezzati. Sono fortunata.

Raramente, però, avevo assaggiato i dolci vegani che, secondo me, meritano un capitolo a parte. 

Il mondo della pasticceria è complesso; i dolci sono piccoli capolavori che hanno bisogno di un equilibrio perfetto di ingredienti, del bilanciamento accurato tra grassi e zuccheri, di reazioni chimiche corrette (vedi la lievitazione dove serve), di consistenza, freschezza, scioglievolezza, croccantezza o morbidezza.

I dolci sono espressione del piacere dei sensi, sono un regalo, un premio, una gioia. Sono quel qualcosa in più perché non servono a nutrirci ma a gratificarci. Per questo credo che debbano essere speciali, sempre.

In pasticceria - più che in cucina dove si può arrangiare, modificare, interpretare o aggiustare non me ne vogliano i cuochi - occorre un rigore assoluto perché l’equilibrio è instabile, l’errore è dietro l’angolo e rimediare non si può.

Le materie prime impiegate hanno un perché, e se posso friggere con l’olio di oliva o di semi che il risultato sarà quasi identico, nel fare un dolce la differenza tra burro e yogurt di soia si sente. Non si scappa. Mi dispiace ma è così e fa la differenza, per molte ragioni che cercherò di spiegare.

La lezione alla quale ho assistito è stata molto interessante, e l’ho veramente apprezzata.

La pasticcera Morena Del Sordo, pastry chef del Soul Green di Milano, non vegana per sua affermazione ma evidentemente professionista esperta, coadiuvata da Valerio Barallis, l’esteta della pasticceria come viene chiamato, è stata bravissima perché ha saputo trasmettere i principi della pasticceria vegana con misura e moderazione, spiegando motivazioni e tecniche in maniera chiara e comprensibile.

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Da questa esperienza ho tratto una mia opinione personale e non pretendo che sia condivisa.

Partiamo dagli ingredienti che in questo caso erano anche gluten free: farine di mais, di mandorle, di riso, di nocciole, di grano saraceno…ben miscelate e abbinate offrono aroma e sapore gradevoli e nella versione cookie hanno sopportato la lievitazione egregiamente. Immagino fosse la parte più facile dopo tutto.

Passiamo agli zuccheri: anche qui il gioco è semplice perché basta utilizzare zucchero di canna invece che semolato o sciroppo d’acero al posto del miele che il risultato sarà ottimo.

I problemi cominciano con i grassi: niente uova, niente burro, niente latte vaccino o panna. Sostituire questi ingredienti, in pasticceria, è una sfida non da poco.  

Ed ecco i candidati: olio di semi, latte di mandorle o cocco, latte di soia (o bevanda a base di soia, non è stata vietata la dicitura latte per bevande alternative al latte animale?), yogurt di soia, burro di cacao, anacardi. E quando occorre addensare, xantana…

Ingredienti di ottima qualità, svolgono il loro compito dignitosamente. Permettetemi di dire, però, che il risultato non è esattamente lo stesso.

Morena Del Sordo ci ha accompagnati nella preparazione di dolci nell’insieme molto gradevoli; Valerio Barallis ci ha insegnato a presentarli in maniera piacevole e creativa. Grazie.

Le varie frolle eseguite, bianche o al cacao, tutto sommato non hanno rivelato grandi differenze con la frolla classica; forse una maggiore difficoltà nella consistenza della pasta che ha reso più impegnativo stenderla senza romperla o una minore friabilità al palato.

Le differenze più significative credo di averle rilevate nelle creme realizzate per le farciture. Insomma, la soia, il cocco o il burro di cacao lasciano inevitabilmente una sensazione più oleosa che rotonda in bocca. Avocado e banana non riescono a simulare la morbidezza dell’uovo e gli anacardi frullati possono dare compattezza alla struttura ma aggiungono pesantezza. Di questo, ne risente la digeribilità; uno stomaco poco avvezzo a questo tipo di alimenti sentirà il cibo come anomalo e (probabilmente) farà fatica ad assimilarlo. 

Ci vuole una grande abilità tecnica per bilanciare gli elementi del dolce in maniera armonica e buona consuetudine per poterlo apprezzare. Forse ci vorrebbe un po' di verve, quel tocco in più che ti fa assaporare e godere solo del piacere senza pensare alla salute, al pianeta o al futuro. Per godere dell'attimo.

Ma il cambiamento, si sa, esige un percorso lungo e lento e faticoso.

I pasticceri che con tenacia lo percorrono stanno svolgendo un compito impegnativo e nuovo, ma ne saranno gli artefici e tutti ne trarremo vantaggio. Credo che ci sia ancora molta strada da fare, tanto studio da affrontare, almeno per realizzare quei piccoli capolavori che chiamiamo “pasticceria”. Che ci vorrà ancora molto tempo prima gran parte delle persone riesca ad apprezzarli e che l'opera di educazione al palato sarà faticosa.

Io aspetto, ansiosa di vedere gli sviluppi futuri. Intanto, proseguirò nella mia ricerca. Sono sicura che se sviluppi ci saranno, saranno egregi e forse qualcuno riuscirà perfino a infondere nella pasticceria vegana quel tocco di gioia e goduria che ci aspettiamo. In fondo, vegano non è sinonimo di punitivo, o no? 

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