Ridurre gli sprechi al ristorante: istruzioni per l’uso

by Marina Caccialanza

In Italia ogni settimana, ciascun ristorante dichiara di buttare tra i 2 e i 5 sacchi da 220 litri di scarti alimentari. È tanto, poco, è fisiologico…cerchiamo di comprendere il fenomeno attraverso i risultati di una ricerca condotta da Metro Italia.
Pare che solo un ristoratore su tre sviluppi attualmente iniziative per ridurre gli sprechi nel suo locale ed è interessante capire se ciò è dovuto a sottovalutazione del problema o semplicemente non c’è una soluzione. Eppure il problema degli sprechi esiste e incide notevolmente sulla gestione a livello economico del locale, sull’ambiente, sulla percezione che il cliente ha dell’efficienza del ristorante.
Metro Italia, in collaborazione con Bocconi Green Economy Observatory, ha presentato in occasione del Salone della CSR e dell’innovazione sociale 2019, i risultati della seconda parte della ricerca Metronomo sullo spreco alimentare nella ristorazione, indagando a fondo la situazione dello spreco di cibo “fuori casa” sia dal punto di vista del consumatore, sia da quello del ristoratore.

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Se osserviamo i dati raccolti vediamo che lo spreco si consuma con modalità differenti a seconda della zona d’Italia: più alto al centro e in Sardegna, medio al sud e nel nord ovest, più alto al nord est ed Emilia Romagna. Il ristorante etnico è il più “sprecone” con 5 sacchi la settimana mentre le altre tipologie di locale si assestano sui due.
Si potrebbe ipotizzare che la ragione sia culturale, ossia l’abbondanza delle porzioni offerte al cliente dipende dalla percezione e dal concetto che ristoratore e cliente hanno dell’ospitalità. Diventa un eccesso e si trasforma in spreco in quelle aree territoriali dove per tradizione e cultura ci si aspetta piatti generosi senza tenere conto che oggi le abitudini del consumatore medio sono mutate rispetto ad epoche passate. Se la porzione è troppo abbondante gratificherà l’attesa ma diventerà inevitabilmente causa di avanzi nel piatto.
Lo spreco avviene in buona parte anche in cucina: il ristoratore che ogni giorno deve pensare a gestire la dispensa nel modo più efficiente si trova spesso inadeguato nell’evitare gli sprechi e possibilmente a prevenirli. Buone competenze in materia di food cost, conservazione e alternanza dei cibi sarebbero auspicabili per tutti ma talvolta si rivelano carenti.
In ogni caso la percezione dello spreco da parte dei ristoratori comporta per l’84% di loro costi e perdite; per l’89% dei consumatori i costi e le perdite si riversano sulle loro tasche.
I consumatori incolpano i ristoratori – solo l’11% dei clienti dichiara di avanzare cibo nel piatto – e attribuisce lo spreco al 68% dei ristoratori. Dal canto loro, i ristoratori – o almeno 1 su 3 – dichiara di mettere in atto misure preventive per ridurre gli sprechi.
Infatti, per esempio, il 52% dei ristoranti italiani propone porzioni diverse da quelle tradizionali (ridotte) in percentuale da 15 a 23% per tutti i piatti presenti in menu; da 9 a 23% per oltre la metà dei piatti del menu; da 35 a 43% per alcuni, meno della metà.
Questi dati riguardano il nord est, il nord ovest e il centro Italia mentre al sud la situazione è più problematica: l’85% dei ristoranti propone porzioni ridotte solo per alcuni piatti e solo il 15% per tutte le voci del menu. Se l’occhio vuole la sua parte, resta uno zoccolo duro di ristoratori (e di clienti) che ancora promuovono e cercano l’abbondanza in tavola. Costi quel che costi.


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A questo proposito bisogna ricordare che l’80% dei consumatori sarebbe favorevole alla porzione ridotta a fronte di un prezzo ridotto in maniera corrispondente, esigenza talvolta accolta malvolentieri dal ristoratore.
Quali sono, dunque, le misure adottabili per ridurre gli sprechi? Ecco le misure più diffuse tra i ristoratori italiani: l’83,6% cerca di minimizzare gli scarti in cucina; il 71,6% acquista attrezzature ottimali per la conservazione di cibi; il 56,9% ottimizza gli approvvigionamenti; il 51,4% pianifica accuratamente il menu; c’è chi propone di offrire al cliente un antipasto di benvenuto preparato con le eccedenze della cucina (61%).
Il 40,4% fornisce doggy bag al cliente.
Eccoci a un tasto dolente: la benedetta doggy bag, abitudine consolidata nei paesi anglosassoni che da noi stenta a prendere piede. Insomma, il cliente non la chiede, il ristoratore non la propone. Timore di apparire “poracci”? Forse, o semplicemente la pratica rivela ostacoli inattesi.
Oltre il 66% di coloro che offrono la doggy bag lo fanno esclusivamente dietro richiesta del cliente a causa del costo che comporta in termini di contenitore e tempo per il confezionamento; coloro che non la forniscono giustificano la scelta con motivi di sicurezza e qualità, costi e problemi tecnici.
Ma che fine fanno le eccedenze, allora, se pochi clienti si portano a casa la doggy bag e nelle cucine restano quantità eccessive di cibo non consumato? Il 92% dei consumatori finali apprezzerebbe che venissero donate a chi ne ha bisogno.
Ed eccoci al tasto più dolente: per i ristoratori non è così facile donare…Il 4% ha paura di causare malattie alimentari; il 17% ritiene i regolamenti troppo complessi; il 20% non è a conoscenza di enti no profit a cui donare; il 43% dichiara di avere eccedenze troppo scarse. Eppure le soluzioni ci sarebbero; prima tra tutte formare adeguatamente il personale e lo staff a supportare la riduzione delle eccedenze attraverso l’utilizzo di app o piattaforme per l’acquisto di prodotti in sovrappiù, per la vendita o lo scambio con enti o altri locali, per la donazione: mettere in contatto domanda e offerta in modo smart.
Insomma, investire in informazione e formazione, per affrontare con disinvoltura un problema che coinvolge professionisti e clienti e che si potrebbe risolvere o almeno limitare con impegno e senso civico. Per il bene di tutti.