Risotto alla milanese, uno di famiglia

by Marina Caccialanza

È probabilmente il piatto più famoso della tradizione milanese, quello conosciuto in tutto il mondo, dove la cucina italiana è un simbolo di qualità. Il riso trova espressione mirabile nei piatti di ogni regione d’Italia, non solo nelle aree risicole – Piemonte, Lombardia e Veneto -  ma a Milano non è solo un piatto, è IL piatto per eccellenza.

Parlo del risotto alla milanese, quello giallo, allo zafferano.

Le discussioni sulla corretta esecuzione della versione classica sono da sempre infinite.

Pellegrino Artusi, che non era milanese ma se ne intendeva, tramanda 3 ricette di risotto alla milanese nel suo “La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene”. Sono simili, a parte il fatto che nella prima versione, la più semplice, utilizza l’acqua al posto del brodo, anche se suggerisce il brodo per renderlo “più sostanzioso e più grato al gusto”. Secondo l’Artusi un buon zafferano usato con abbondanza sarebbe un toccasana per stimolare l’appetito e favorire la digestione. La seconda versione è più complessa e “più grave allo stomaco” e prevede il midollo di bue e del vino bianco per sfumare il riso rosolato. Infine, propone addirittura una ricetta dove il riso rosolato viene sfumato col marsala. Burro e parmigiano non possono mancare. Probabilmente egli fu il primo a indicare il vino per sfumare il risotto perché nei ricettari precedenti non ve n’è traccia. E vabbè l’Artusi in fondo era di Forlimpopoli.

Per una versione storica e attendibile mi rifarei a un testo importante per la cucina milanese, Vecchia Milano in Cucina di Ottorina Perna Bozzi. Qui la ricetta recita: riso, burro, midollo tritato, grasso d’arrosto di manzo, brodo bollente ristretto, zafferano, poca cipolla. Formaggio parmigiano grattugiato in abbondanza e, a volontà, funghi secchi oppure tartufo bianco affettato sopra al risotto al momento di servirlo. Deve essere morbido, all’onda, e si serve col vino rosso. I veri milanesi di una volta lo mangiavano col cucchiaio.

Il vino nel risotto alla milanese, però, proprio no. Lo mettono – secondo la Perna Bozzi - i brianzoli, ossia i “milanes arios”, quelli che arrivano dal contado. A pensarci bene, la maggior parte delle ricette moderne riporta l’uso del vino bianco per sfumare il riso; anche il grande Maestro Gualtiero Marchesi lo utilizzava e lui era certamente il re del risotto e dei cuochi.

A casa mia però, il vino non si è mai utilizzato; mia nonna, mia zia, la mia mamma non sfumavano il risotto giallo col vino e ho mantenuto questa abitudine.

La cosa non fa testo, va bene, ma difendo la mia idea perché credo che le abitudini di famiglia abbiano un grande peso in quanto riflettono le tradizioni popolari. Così come, oggi, si può tranquillamente fare a meno del midollo che appesantisce senza arricchire il gusto, e a mio parere anche della cipolla che contamina il sapore e non aggiunge alcun valore.

Dopo tutto, credo che la ricetta n°1 dell’Artusi avesse un senso. Ricapitolando, per fare un buon risotto alla milanese non vi serve altro che: riso, brodo di carne, burro, formaggio grattugiato e zafferano. Il segreto poi sta nella tecnica di cottura: il riso che sobbolle con vivacità, il brodo aggiunto man mano che asciuga, mescolare in continuazione e una buona e abbondante mantecatura.

Equilibrio e sobrietà, alla milanese, per un piatto che identifica la città tanto che nel 2007 la Giunta Comunale di Milano ha attribuito al risotto giallo la De.Co. ossia la denominazione comunale quale piatto appartenente alla tradizione locale.