Siamo tutti viaggiatori alla ricerca di noi stessi

by Marina Caccialanza

I lunghi ponti festivi e il clima favorevole, anche se incerto, fanno da sfondo a questa primavera inoltrata che invita a uscire, prendere un aereo o la macchina e partire, non importa per dove, basta andare.

La voglia di evadere domina su tutto, il desiderio di visitare luoghi lontani è simbolico e supera ogni incertezza – sociale, economica, politica – per mettere le distanze tra oggi e domani, dimenticare il presente e non pensare al futuro.

In fondo, io credo, che il successo del turismo di massa stia proprio lì, nel voler evadere dalla quotidianità, in una sorta di riscatto morale che spinge a sentirsi parte di un insieme.

Poi, esiste anche la curiosità di chi davvero cerca l’avventura e l’esperienza, la conoscenza; sono gli eletti che forti di una base culturale vanno alla ricerca del sapere.

E, si sa, vivere il mondo esterno favorisce la conoscenza.

È una grande conquista aver dato la possibilità a tutti di viaggiare, vedere, sperimentare, conoscere; è importante.

La realtà dei fatti, però, è un oceano di persone che si sposta senza “viaggiare”, che guarda senza “vedere”, che transita ma non gode dell’esperienza nel senso completo del termine.

Non sempre, ma spesso.

Tempo fa un ristoratore di Venezia, città splendida nella sua fragilità, mi disse una cosa interessante: “Le strade sono piene di gente ma i musei sono vuoti”, perfino se il prezzo del biglietto d’entrata è minimo e compreso in una card turistica che racchiude trasporti e ingressi.

Non è una questione di soldi, è di cultura.

Il risultato è che il comune di Venezia sta per introdurre un biglietto d’ingresso in città per limitare l’afflusso di gente che oltre a deambulare non svolge altra attività né fisica né cerebrale.

Il turismo di massa ha mancato l’obiettivo in questo caso?

Così come si manca l’obiettivo quando una manifestazione nata come manifesto del vivere sostenibile e dell’ecologia, del “fare la cosa giusta per il pianeta”, si trasforma nel giro di 2 o 3 edizioni in un mercatino di qualunque cosa con le corsie tra gli stand invase da esseri col trolley che mirano solo a comprare, comprare e fare un buon affare, o peggio si gettano come lupi famelici sul vassoio degli assaggi – formaggio, vino o biscotto non importa tanto non capiscono la differenza, basta che sia gratis. Vantaggioso per il commercio ma poco utile come trasmissione del sapere.

Si perde l’orientamento anche quando si entra in certi locali – ristoranti, bar, pizzerie – di nuova concezione e ci si accorge che una zona considerevolmente ampia è delimitata per accogliere i bambini che possono in quell’area liberamente sfogare le proprie energie fisiche e vocali mentre i loro genitori gustano tranquillamente il cibo al tavolo senza doversi preoccupare di contenere il loro entusiasmo e in modo che non disturbino gli altri avventori e il personale di servizio.

È un po’ come quel vecchio detto “chiudere la stalla quando i buoi sono scappati”. In sostanza piuttosto che insegnare ai piccoli a comportarsi educatamente, a “stare in società”, è più facile lasciarli nella loro beata ignoranza (contenuti però, e quando non si potrà più contenerli?).

Interessante come punto di vista, pregevole nell’espressione architettonica, ma poco educativo nella visione sociale.

È una sconfitta non una conquista - parere personale.

A che prezzo stiamo rinunciando a valori inestimabili come il rispetto delle cose e delle persone, dell’ambiente (se ne parla molto…se ne capisce il senso?), della conoscenza come insegnamento storico.

Oggi, pendiamo dalle labbra di una fanciulla con le trecce – chi sia realmente lo capiremo prima o poi – perché abbiamo bisogno di qualcuno che ci dica cosa fare, dandoci bacchettate sulle dita, e ci offra una speranza.

Non credo che ce ne sarebbe bisogno se solo imparassimo ad ascoltare la nostra coscienza senza aver paura.

Usciamo, viaggiamo, proviamo e sperimentiamo, incontriamo gente e luoghi.

C’è tanto da vedere e da imparare e oggi lo possiamo fare tutti, basta volerlo.

Sì, ma cum grano salis. Possiamo.