Sotto la Madonnina, col bicchiere mezzo pieno
Una città che non si arrende mai e risorge
dalle sue ceneri più forte, con la voglia di riprendersi il suo posto e tornare
a essere la “Milano da bere” tutta d’un sorso, da godere.
Qui, niente è lasciato al caso, tutto è frutto di studio e imprenditorialità.
La Milano da bere degli anni ottanta non c’è più ma la nuova Milano vuole essere ancora più vivace e non abbassa la testa nemmeno davanti a un virus assassino che “a noi baùscia, ci fà un baffo…”.
Facciamo insieme un giro per questa città definita “tentacolare” e osserviamo quello che più ci sta a cuore: il mondo della ristorazione. Al primo sguardo non possiamo ignorare la desolazione di settori economici come il commercio al dettaglio con le serrande abbassate e, uniche insegne che resistono, le catene a basso prezzo, ma ci accorgiamo con stupore che ai tavolini dei bar, nelle sale dei ristoranti c’è tanta gente. Qui, si lavora alla grande.
Il fermento si vede nelle nuove aperture di locali che, tra i tanti storici che hanno resistito, numerosi hanno aperto, con coraggio e idee innovative.Una cosa colpisce: da un lato, Milano vuole
mantenere la sua identità, la milanesità del suo stile, e lo dimostra con
locali studiati per mettere in evidenza la storia e le tradizioni meneghine,
dall’altro, non dimentica la sua vocazione imprenditoriale. Tutto è studiato e
valutato.
Se partiamo dai Navigli, rappresentazione di quella che viene chiamata movida,
ecco che la Milano genuina sbuca tra le insegne: a pochi passi dalla Darsena ha
aperto Il Baslà, che serve i suoi cibi in padellini di metallo che ricordano
quelle ciotole che in dialetto si chiamano baslòt.
Qui, ti accoglie l’oste, ti serve piatti caserecci ma non convenzionali,
soprattutto di carne, accompagnati da un’ottima cantina, ma poi ti accorgi che
l’osteria all’antica si trasforma e ti offre il brunch internazionale, i cocktail
signature; che dentro il baslòt non c’è un piatto banale. Il Baslà non è un
locale nato per caso, è un progetto studiato con cura dai suoi artefici, Andrea Votino, chef esperto di catene in ambito food, e i
suoi soci, giovani con le idee chiare.

Aprile 2019, nel cuore di Porta Romana, apre
Particolare. Di nome e di fatto; da un’idea di tre amici Luca Beretta, maître e
sommelier, Andrea Cutillo, chef e Cosimo Traversi, manager.
Nemmeno un anno e la vita di tutti cambia. Niente paura, il ristorante si
chiama Particolare per un motivo ben preciso, spiega Luca: “Il nome suona bene,
è molto milanese e si discosta dall’immagine convenzionale della trattoria. La
differenza, in ogni cosa, sta nei particolari, si dice, ed è vero. Noi siamo un
ristorante classico con un tocco di modernità, pochi piatti e un lato gourmet
discreto, una cucina comprensibile, ottimi vini e la ricerca della qualità
innanzi tutto: una cucina che bada al sodo, come Milano, una città che chiede
ed esige molto ma è disposta a dare tanto a chi sa capirla, risponde a coloro
che sanno ciò che vogliono, e lo fanno con coraggio ”.
A pranzo menù alla carta o business lunch a prezzo fisso perché ci sono tanti
uffici in zona e hanno ripreso le attività: “Facciamo vedere che stiamo attenti
alle regole e sanno che da noi possono stare tranquilli – spiega Luca”. L’aperitivo, i milanesi non rinunciano; e a
cena un menù alla carta, modulato ogni settimana in base alle disponibilità,
mediato con il rincaro delle materie prime, indiscutibile: “Cerchiamo di volta
in volta di capire – afferma Andrea – come offrire uniformità di proposte senza
sbalzi di prezzi per incoraggiare il cliente e farlo sentire bene”. C’è uno
studio accurato, dietro a tutto ciò, la coerenza al progetto iniziale, la
tenacia di chi crede fortemente che con serietà e impegno si superino gli
ostacoli: “Non abbiamo studiato nuove formule. Avevamo le nostre idee iniziali
e non abbiamo voluto fare un passo indietro, piuttosto abbiamo continuato con
fiducia. Dalla riapertura del maggio scorso, abbiamo sempre lavorato e ci
aspettiamo di tenere il passo perché Milano non si ferma, va sempre a cento
all’ora e noi spingiamo l’acceleratore”.

Particolare a Milano - da sin. Andrea Cutillo, Cosimo Traversi e Luca Beretta
Due locali figli della stessa idea: Immorale e Immorale Osé. Luca Leone Zampa comincia la sua avventura nel mondo della ristorazione come chef e continua come imprenditore, con una visione molto personale. Immorale Bistrot apre nel settembre 2019 e oggi viene affiancato da Immorale Osè, due realtà che parlano la stessa lingua, un dialetto culinario istintivo, appassionato e rivoluzionario per certi aspetti. Milano è anche questo, la scoperta di sensazioni, sentimenti e coinvolgimento dei sensi. “Non sta a me dire se l’idea è rivoluzionaria – ammette Luca Zampa – Osé è la parte coraggiosa di Immorale, quella con più intraprendenza e creatività, è qualcosa di estremo per la ristorazione, sia nell’abbinamento dei gusti sia nella ricerca: è il risultato di un percorso creativo”.
Un occhio ben attento alla sostenibilità e all’etica dei produttori e fornitori; una proposta gastronomica coraggiosa negli abbinamenti e nelle consistenze, con umami armoniosi e contrasti eleganti tra esperienza tattile e olfattiva; ambiente intimo e contemporaneo, tra il buongusto borghese vintage e un rigore minimale. È la nuova tendenza della ristorazione milanese, secondo Luca Zampa: “Le persone non escono più solo per mangiare e per stare in compagnia. Vogliono avere qualcosa da raccontare, sui social e nel mondo reale. Il nostro compito consiste anche nel saper offrire quel qualcosa da raccontare, un passo necessario che la ristorazione di qualità deve affrontare per soddisfare questa necessità. Non esiste più lo status symbol, esiste lo status story: io valgo per quello che racconto e posso dire di aver vissuto. Per questo, la vera provocazione non è mettere al centro la sessualità ma la sensualità, un dettaglio importante, ed è il cuore centrale di Immorale”.
Chiudiamo con Daniel Fompowou, Francesco Riganelli, Gian Marco Virgini e Teo
Re Fraschini: nel giro di un anno, due locali dal concept nuovo per Milano:
Armonico e Sparpagliato. Il ristorante viene anche a casa tua: ottimo sushi, ordinato sulla piattaforma dedicata, che arriva grazie al
servizio di consegna 100% ecologico con motorini elettrici. Nasce dalla
sperimentazione e da una visione moderna della ristorazione cittadina e il fil rouge delle creazioni è la qualità
senza compromessi della materia prima, pesce che ogni giorno arriva
direttamente dal Mercato Ittico di Milano.
Sparpagliato
è la Chirasheria di Quartiere. Veloce,
immediato, un buon pasto fast di ispirazione giapponese, non impegnativo, che
mantiene alti standard di qualità. Stessa filosofia, piccole varianti: vuole
parlare a un pubblico giovane, con un tono irriverente, ironico e urban, lo si
nota dal packaging colorato e fumettoso. “Non crediamo sia il totale futuro della ristorazione milanese –
spiegano i ragazzi di Armonico - sebbene l’ordine a casa e il ritiro veloce, mangiare
tra una mail e una call, andranno sempre più per la maggiore e come dimostrano
i dati, è un trend in ascesa. Per questo continueremo a investire in ricerca e
sviluppo. Crediamo che delivery e take away possano essere un ottimo trampolino
di lancio, grazie a costi di avviamento relativamente contenuti rispetto al
ristorante con servizio al tavolo. Ciò che stiamo facendo ora, infatti, è
consacrare e cementificare la qualità del nostro lavoro, dando un volto e una
voce al servizio grazie all’accoglienza del pubblico. La sinergia tra la
consegna veloce e la consumazione sul posto crea un senso di completezza di
servizio a 360°. Il cliente può sceglierci nella forma che preferisce in base
all’occasione e alle proprie necessità”.
Il sushi offre molte opportunità: “Il fatto che sia un prodotto freddo lo rende
perfetto per l’asporto. Il fattore moda si colloca subito dopo le scelte di
business, ma resta un fattore centrale: fino a pochi anni fa non si conosceva
nemmeno come prodotto, oggi noi serviamo clienti che hanno figli piccoli e
iniziano a mangiarlo già dalla tenera età. Vuol dire che, volente o nolente, si
è ormai innestato nella nostra cultura culinaria e, fra qualche decina d’anni, tutti
mangeranno sushi”.