Un mondo al consumo
Uno studio sviluppato da Sial, il Salone Internazionale dell’Alimentazione di Parigi e pubblicato alla fine del 2020 ha dimostrato come l’atto di nutrirsi si sia trasformato da pura azione necessaria ad atto di civiltà e l’anno trascorso in balìa del Covid-19 non ha fatto altro che catalizzare l’attenzione su questo aspetto.
Il 73% dei consumatori ha modificato i suoi comportamenti negli ultimi 2 anni:
63% di loro crede fermamente che il cibo sia parte di un comportamento sociale
e che sia elemento discriminante nella scelta che tutti dobbiamo fare tra il
mondo in cui viviamo e quello nel quale vorremmo vivere. 1 consumatore su 3 ha
effettivamente sposato questa linea d’azione e di pensiero e ha adottato misure
di comportamento nuove addirittura boicottando certi brand o prodotti che
sembravano non rispondere alle sue aspettative. Le ragioni principali: cibo più
salutare (70%), cibo locale e stagionale (53%), qualità degli ingredienti
(44%).
La tutela dell’ambiente è un punto chiave in questa situazione: quasi un quarto
dei consumatori ha modificato i suoi comportamenti in ragione di queste
motivazioni. L’offerta commerciale segue la tendenza proponendo ampie selezioni
di cibi salutari, alto livello di ristorazione, maggiore tracciabilità delle
materie prime e dei prodotti, proposte locali e limitate.
L’industria alimentare è fortemente coinvolta in questo cambiamento; piacere e
salute sono i punti chiave dell’innovazione e seguono fondamentalmente 3
indirizzi: essenzialità (semplicità per una migliore comprensione); affezione e
sentimento; piacere puro e semplice (niente gadgets, basta che sia buono).
Il cibo è un atto di civiltà, con esso scegliamo il mondo nel quale vogliamo vivere. La ricerca è stata condotta su un panel di 500 individui tra i 18 anni e i 55, in Europa, USA e Oriente.
I temi analizzati concernevano il consumo di alimenti di origine locale, la naturalità o origine biologica dei cibi, l’impatto ambientale, l’etica e la versatilità al cambiamento.
Qualche esempio dei risultati
In Cina, il 69% degli
intervistati preferisce acquistare cibi prodotti nel territorio di
appartenenza; l’81% sceglie cibi senza coloranti e conservanti o addirittura
100% naturali; il 70% consuma cibi biologici, quando può; il 72% sceglie di
acquistare prodotti poco confezionati o in packaging sostenibili e riciclabili;
il 69% si rivolge a mercati fair trade; il 43% ha ridotto o eliminato il
consumo di carne; il 44% si sente in colpa se consuma carne per non causare
sofferenza agli animali; il 66% è consapevole e si pone delle domande in merito
alla questione etica e alle conseguenze ambientali dovute all’allevamento e al
consumo di carne.
In Francia i 3/4 della popolazione
ha mutato le sue abitudini alimentari negli ultimi 2 anni: il 34% ha cambiato
radicalmente per motivi etici, ambientali o di attenzione alla qualità degli
ingredienti. Il 64% dei francesi sceglie cibi locali, il 63% bada alla
salubrità, il 45% alla qualità, il 39% presta maggiore attenzione all’impatto
ambientale.
La Germania presenta risultati
simili con un 52% di consumatori che si chiedono se le loro scelte siano
sufficientemente etiche in tema di consumo di carni, a fronte di un buon 40%
che ne ha concretamente interrotto il consumo.
In India questo sentimento di
consapevolezza in merito al consumo di carne sale al 71% mentre nel Medio Oriente torna su valori più bassi
e solo il 29% dei consumatori ha modificato radicalmente le sue abitudini
alimentari in favore di cibi etici, poco impattanti sull’ambiente e di qualità
superiore.
Nel Sud Est Asiatico la fiducia nel
cambiamento è superiore alla media mondiale: per il 94% dei consumatori le
azioni intraprese per migliorare la qualità di vita sono importanti anche se
ancora insufficienti e il 90% ha cambiato le sue abitudini dando un segnale
forte.
La Spagna si conferma nella media
europea così come la Gran Bretagna,
mentre in Russia l’82% dei cittadini
sceglie prodotti biologici.
Lo scenario cambia negli Stati Uniti:
solo il 37% degli americani pensa che il cibo sia espressione di un atto di
civiltà e sul 63% solamente il 19% ha messo in pratica un cambiamento radicale
delle sue abitudini per motivi etici o ambientali. Per il consumo di carne poi
scendiamo al 27% di chi ha interrotto o diminuito il consumo.
Veniamo all’Italia, dove i risultati
della ricerca affermano che il 62% degli italiani ha cambiato abitudini negli
ultimi due anni. Tra essi il 72% ha scelto cibi più salutari, il 65% prodotti
locali, il 45% presta maggiore attenzione alla qualità degli ingredienti e il
40% all’impatto ambientale. Buone le intenzioni ma la percezione del
consumatore è che resti ancora molto da fare per migliorare la qualità di vita
e di alimentazione. Infatti, il 79% di loro riconosce che sono state messe in
atto azioni drastiche per migliorare la qualità di vita e la sostenibilità ma non
sempre gli sforzi hanno attenuto i risultati auspicati.
Se gli italiani riconoscono, infatti, che sono stati intrapresi tentativi di
miglioramento importanti sulla tracciabilità (79%) è altresì vero che ne
riconoscono i buoni risultati solo per l’11%. A fronte di un 77% che ha notato
sforzi in tema di sicurezza alimentare, solo il 13% di questi si è concluso con
un successo; sulla ricerca di maggiore salubrità degli alimenti, considerata
essenziale nel 76% dei casi, solo il 10% è andata a buon fine. Peggio vanno le
cose su altri fronti e gli italiani intervistati affermano che molto si
potrebbe fare e invece non si fa in merito, per esempio, alla questione dei
compensi equi per allevatori e coltivatori (il 44% degli sforzi sono stati
inutili per il 92% degli intervistati); solo il 39% degli sforzi per ridurre
l’inquinamento di acqua e aria è riuscito per il 91%; il 35% degli sforzi fatti
per tutelare la biodiversità sono falliti per il 90% degli italiani.
Infine, in merito al consumo di carne quasi la metà della popolazione è
coinvolta: il 42% degli italiani dichiara di aver eliminato o ridotto la carne
dalla sua dieta; il 40% si sente in colpa se consuma carne per via della
sofferenza inflitta agli animali e il 54% degli intervistati si pone degli
interrogativi di natura etica e si domanda se il suo consumare carne possa
contribuire ad essere causa di impatto negativo sull’inquinamento ambientale e ha
scrupoli di natura etica riguardo al benessere animale.
L’impatto
del lockdown
Una
lettura illuminante dei nuovi comportamenti del consumatore medio, viene dal quarto “Osservatorio sul mercato del digital food delivery in Italia e
gli impatti del lockdown” realizzato dalla piattaforma Just Eat.
Secondo i
risultati dell’Osservatorio, riferiti ai consumi fuori casa ma utili nella
comprensione dei cambiamenti in atto in base alle fasce di consumatore
individuate:
- Oggi il digital food delivery rappresenta
tra il 20% e il 25% del settore del domicilio (18% 2019).
- La ristorazione italiana è
sempre più digitale con una crescita del +30% di ristoranti sull’app
- Pizza, hamburger e giapponese restano i preferiti dagli italiani, ma
per crescita vincono il gelato, protagonista durante il lockdown (+110%),
ancora il poké (+133%) e le specialità di pesce. In classifica trend, anche
messicano, pinsa e kebab. Mediorientale, thailandese e panzerotti tra le nuove
cucine.
- Nella top 5 delle città più in crescita per ristoranti che hanno
scelto il digitale, Rimini, Cagliari, Reggio Emilia, Ferrara e La Spezia. Tra
le più in crescita per consumo Rimini, Ravenna, Taranto, Brescia e Reggio
Emilia.
- Il 62% ordina a domicilio quando è felice, mentre per il 96% è ideale
per un momento di relax.
In collaborazione con BVA DOXA, l’Osservatorio individua 6 identikit di chi ordina a domicilio:
· l’Impegnata per la quale il food delivery è un alleato nella vita frenetica di tutti;
· la Smart Family per cui il food delivery è un’occasione per stare insieme;
· l’Esordiente per la quale il food delivery è scoperta e novità;
· il Party Planner per il quale il food delivery è l’invitato d’onore alle feste;
· il Tenace per cui il food delivery è un modo per festeggiare i successi e gratificarsi ;
·
la Coccolona per la quale il food delivery è la coccola
nei momenti difficili.
Intercettare queste fasce di consumatori potrebbe generare uno sviluppo positivo ma per farlo occorre comprenderne le ragioni e anticiparne i desideri poiché alla crescita costante degli ultimi anni si è aggiunta la situazione creata dall’emergenza sanitaria. Nuovi clienti si sono, infatti, avvicinati al servizio proprio in relazione alla fase di emergenza dichiarando, ad esempio, di non aver
mai ordinato cibo a domicilio utilizzando il digital food delivery prima di allora (34% su un campione di 2.000 nuovi utenti).
Di questi oltre il 60% ha dichiarato di non averne sentito l’esigenza prima, che è emersa invece durante il periodo
di chiusura dei ristoranti a causa dell’impossibilità di ritirare
il cibo direttamente al locale (44%), abitudine consolidata
in Italia.
Un ulteriore dato rileva il maggiore utilizzo dei pagamenti digitali, preferiti dai nuovi clienti per il 36%, portando al 70% di totale le transazioni in digitale.
Ma, cosa ordinano gli italiani e chi sono? La pizza è sempre al primo posto, ma anche l’hamburger trionfa dove il cheeseburger supera in preferenza la versione al bacon. Una curiosità? Gli hamburger ordinati in un anno coprirebbero, messi uno sopra l’altro, una lunghezza di 70 chilometri, come la distanza da Milano a Piacenza.
Seguono i cibi giapponesi e cinesi. Niente di nuovo in fondo, ma qui iniziano le novità: arriva il pollo, che scala la classifica superando i panini. Il resto a seguire.
Infine, per tracciare una panoramica sociodemografica, i più attivi nel food delivery sono i Millennials e la Generazione Z (55%) con preferenza per pizza, hamburger, sushi e dolci; gli uomini dai 35 anni in su ordinano più delle donne dai 18 ai 34 anni (52% vs 48%); le famiglie sono quelle che spendono di più mentre gli over 55 si mantengono fedeli ai soliti fornitori. Impiegati e studenti dominano il panel (41% e 22%) che si chiude con un 7% di liberi professionisti e solo il 5% di operai.
foto di copertina a cura di Just Eat