Valtellina, storie di vite

by Marina Caccialanza


Ai piedi delle Alpi lombarde, al confine italo-svizzero, lungo la riva destra del fiume Adda. La Valtellina si estende da est a ovest, un territorio soleggiato, ampio e naturalmente vocato all’agricoltura di cui la viticoltura è l’espressione più nobile, favorita dal clima e dalle escursioni termiche importanti tra il giorno e la notte, tra l’inverno e l’estate. Le piogge contenute e il vento alpino determinano lo scorrere delle stagioni e l’altissima radiazione solare è un toccasana per la viticoltura: perfetta per la maturazione tardiva del Nebbiolo, vitigno dall’unicità espressiva.

Un anfiteatro naturale, che si estende per oltre 40 km di pendii. Un terrazzamento frutto di 2500 anni di muretti a secco contornati dalle montagne che proteggono le viti dai venti dal nord e dall’umidità dal sud.

Dagli anni cinquanta del secolo scorso alla viticoltura si è unita la coltivazione delle mele: la mela cresce bene, è meno faticosa della vite, per il contadino, offre una buona produttività.

Una storia che dal medioevo si tramanda ai giorni nostri, fortemente legata a luoghi come Como e il suo lago, e che, grazie anche all’opera dei monaci Benedettini fiorisce nei secoli e si esprime in ricchezza economica e artistica. Un retaggio che tuttora emerge nella tranquillità dei luoghi, nell’accoglienza serena e discreta, nella signorilità innata dei suoi abitanti.

La viticoltura, antico retaggio di moderno successo

Risale a epoche remote, fin dal tempo dei Romani e prima ancora – gli Etruschi, i Liguri – e giunge a noi con un’esplosione di gioia che, a partire dall’anno 1000, si estende alla valle intera per opera dei monaci Benedettini che – ora et labora – ne promuovono la diffusione, e dei proprietari terrieri dell’epoca, nobili giunti da Milano e dintorni, che comprano i terreni e favoriscono la coltivazione della vite. Producono e commercializzano il vino, sfruttando la posizione naturale della valle, il sole che giunge da est e tramonta a ovest con la sua luce e il suo calore. È proprio il sole il protagonista di un ordine cosmico che domina e alimenta la valle e i suoi abitanti.

Territorio svizzero a partire dal 1512 e per tre secoli, la Valtellina deve anche alla sua storia, oltre che alla sua posizione geografica, la ricchezza e la fama. Sotto il dominio dei Grigioni la viticoltura valtellinese implementa: fino al 1792 l’80% della popolazione svolge un’attività che ruota intorno alla vite. Un’economia circolare prospera, che subisce un crollo a metà ‘800 con l’arrivo delle prime malattie della vite, si risolleva con l’introduzione delle mele e riscopre la viticoltura destinata a esplodere a livello economico in una produzione di massa che trova nell’esportazione verso il nord Europa la sua strada più proficua: il Nebbiolo, frutto prediletto di questa terra di montagna, cresce abbarbicato alla roccia, diventa il fulcro dell’economia locale grazie alla sua acidità che permette di conservare il vino a lungo.

Gli anni settanta del novecento segnano il giro di boa: i Paesi del nord Europa iniziano a importare vini da altri luoghi, lo scandalo metanolo sconvolge il mercato. Potrebbe sembrare la fine e invece è l’inizio di una rinascita della viticoltura valtellinese e della sua economia. È lo spartiacque tra produzione di quantità e produzione di qualità.

Un esempio? Il Sassella DOCG, 100% Nebbiolo Chiavennasca, vendemmiato rigorosamente a mano nella terza settimana di ottobre, tre anni in botti di legno e quattro mesi in bottiglia. Rosso rubino, intensamente fruttato, accompagnamento ideale per salumi e formaggi tipici, o per il taroz a base di patate, fagiolini, burro e formaggio, così come di piatti più ricercati.

Oppure lo Sforzato di Valtellina DOCG; lo Sfursat è prodotto grazie all’appassimento naturale delle uve, favorito dai venti freschi e secchi delle Alpi. Il vino che ne deriva è un Nebbiolo unico: ricco e austero ma con i caratteri minerali e freschi tipici dei vini di montagna. Perfetto da gustare con piatti di carne rossa, una tagliata di cervo, per esempio.

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la Bresaola Igp, salume tipico della Valtellina

Storia e panorama

I borghi di Ponte e Chiuro rivelano il fascino medievale che conservano nel mosaico di pietra che incastra loggiati rinascimentali e ballatoi, stalle e palazzi, fontane e lavatoi, orti e giardini. Un reticolo di stradine acciottolate dove l’atmosfera è antica, dove ogni angolino è suggestivo. Vietato il tacco 12 tra i ciottoli delle sue stradine ma raccomandato lo scatto fotografico perché ad ogni svolta la meraviglia colpisce. Palazzi nobiliari, ancora oggi abitati dalle famiglie che ne conservano la storia, il retaggio dei loro avi, rivelano intatti i loro tesori. Portoni che si dischiudono a meraviglie nascoste, con discrezione, come è nel carattere dei lombardi che le tutelano con determinazione per mostrale con orgoglio.
A 500 metri di altitudine, circa, la posizione è ideale; lo sviluppo della valle e dei suoi comuni da est a ovest ha favorito l’insediamento, con l’Adda al centro e due versanti uniti da una sottile striscia di fondovalle. La sponda retica, che oggi accoglie la geometria dei meleti, un tempo era tutta vigna, ben evidente nella presenza dei muretti a secco che delimitano il terreno. La sponda Orobica rivela boschi e castagneti.
Boschi da un lato, terrazzamenti vitati dall’altro, all’improvviso i meleti che conquistano la scena. Filari ordinati, meli giovani, perché in origine il melo doveva solo soddisfare le esigenze della famiglia. Dai primi meleti, impiantati negli anni quaranta da quei pionieri che ne avevano intuito le potenzialità, Golden e Stark Delicious, nel dopoguerra la coltivazione si è intensificata e sviluppata grazie anche alla fondazione di una società cooperativa per lo smercio cumulativo della frutta. Oggi le mele della Valtellina sono rinomate per la qualità pregiata, nelle varietà originarie e in altre nuove. Un ulteriore segno del valore della biodiversità del territorio che accoglie colture e ne fa pregio e benessere, economico e ambientale.


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i Pizzoccheri

Arte, bellezza e accoglienza

I borghi conservano la struttura medievale e ne preservano l’identità. Ci sono cantine ovunque e la vocazione del luogo si intuisce ad ogni angolo, tra cortili rurali e dimore signorili, come a Casa Cassan, suggestivo complesso architettonico, ricco di storia dal 1400, situato nel centro storico di Ponte in Valtellina. Vi si possono ammirare saloni affrescati, cortili, portici, cantine e un giardino fiorito di rose, ortensie, piante aromatiche. Oggi è una casa vacanze che offre appartamenti indipendenti e spazi polifunzionali che il suo proprietario, Antonello Cassan, apre con orgoglio ai visitatori: un luogo magico, Roseto del Drago, dove ogni particolare è avvolto in un’atmosfera di benessere e armonia.
Merita una visita la chiesa di Madonna di Campagna, ai margini di Ponte, dove l’impasto fra cultura alta e cultura contadina trasuda dalle pietre dei muri, e che conserva l’organo Bizarri, di prestigio internazionale: studiosi e organisti giungono da tutta Europa per ispezionarlo, per suonarlo e addirittura per effettuare registrazioni perché, commissionato nel 1518 e fabbricato l’anno successivo da Marco Antonio Bizarri, apprezzato organaro di Milano, è il secondo più antico di Lombardia.

Ma Ponte nasconde un’infinità di tesori tra le sue stradine: la Chiesa di San Maurizio con la sua icona lignea del 1400 dedicata alla Madonna; palazzo Guicciardi, dimora nobiliare tuttora abitata dai suoi eredi, così come altri palazzi signorili dei diversi rami discendenti della famiglia Quadrio, nome di spicco del panorama lombardo e italiano; il Museo Etnografico, all’interno dell’ex palazzo dei Gesuiti, che raccoglie reperti antichi della popolazione valtellinese e dove è possibile ammirare i telai e gli strumenti che hanno alimentato nei secoli l’arte della tessitura e la produzione dei tipici “pezzotti”.
Una visita al borgo di Chiuro è d’obbligo, con la Chiesa di S. Bartolomeo, dove i monaci Cluniacensi producevano vino dal 1200; l’antica roggia che ancora oggi porta acqua agli antichi opifici. 

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tagliata di cervo

Una cucina sincera e genuina

Chi non conosce i pizzoccheri…sono quasi un simbolo della Valtellina e rappresentano quell’anima rustica e godereccia che contraddistingue il popolo della montagna. Del taroz si è già detto: composto di patate e fagiolini cotti in acqua, poi grossolanamente sminuzzati con un cucchiaio di legno, incorporando burro e formaggio. La polenta “taragna” nella sua variante “cropa” che prevede di versare nel paiolo la panna al posto dell’acqua e aggiungere patate schiacciate oltre ai soliti pezzetti di Casera. Solo a Ponte si gusta la “fügàscia”, una focaccia dolce prodotta con l’impasto del pan di segale che viene bucherellato con le dite, per introdurre una noce di burro in ciascun buco, e spolverato di zucchero sul finale.

Sono piatti robusti, come bresaola e salame che, insieme a “sciàtt” (cubetti di formaggio Casera tuffati in una pastella di grano saraceno e fritti in abbondante olio bollente) costituiscono l’accompagnamento ideale di buon bicchiere di vino rosso di Valtellina. E accanto a ogni piatto, il pane di segale, cereale presente fin dall’epoca preistorica, così pare, genuino e autentico a km 0.
Non basta? No, certo, perché la Valtellina offre molto di più, bisogna provare per credere e questo non è che un assaggio.